La “ricotta” di Montecassiano, che nulla c’entra con la pastorizia, ma con uno scherzo

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L’antico estro satirico dei marchigiani, che un tempo si esercitava nel corso delle interminabili lotte di campanile, non è ancora morto. Un bello spirito, oppure una banda di buontemponi dei centri limitrofi, ha pensato bene di giocare un bel tiro a quelli di Montecassiano. Con vernice nera, sicuramente spruzzata da una bomboletta spray, hanno sconciato le indicazioni che segnalano, nelle varie strada di accesso, l’arrivo a Montecassiano. In alcuni cartelli da Montecassiano hanno cancellato “ssiano” per cui si legge “Montecà” (Montecane); in altri hanno cancellato la prima “s” e la seconda “a” per cui si legge “Monte casino”. Di ritorno da una gita ad Osimo ho potuto constatare di persona questo scherzo vandalico che ha sapore di altri tempi e la constatazione mi ha condotto a ripescare gli antichi blasoni popolari riguardanti Montecassiano.

Ebbene, agli abitanti di questo centro veniva in passato rinfacciata la ricotta, per cui si udiva Mondecascià de li ricuttù (Montecassiano dei ricottoni) oppure li ricottà de Mondecascià (i ricottari di Montecassiano). L’origine di questo blasone non va ricercata nelle attività pastorizie della zona o nelle predilezioni casearie degli abitanti, ma in un avvenimento che “La Provincia di Macerata”, anno II n° 91, dice realmente accaduto in illo tempore.

Durante un violento temporale, caddero su Montecassiano molti fulmini e il cielo paradossalmente volle che due di essi si abbattessero proprio sulle cuspidi delle due torri cittadine: quella di Santa Maria Assunta e quella di San Marco. I canonici della Collegiata, in attesa delle riparazioni del caso e come temporanea protezione dalle intemperie, credettero bene di coprire la prima torre  con un gran telo bianco. Gli abitanti di Macerata, nel vedere da lontano quella bianca copertura gonfiata dai venti, subito approfittarono per satireggiare sull’iniziativa e dissero che Mondecascià era ‘ngappata de ricòtta (Montecassiano era ricoperta di ricotta) per cui coniarono i motteggi dianzi riferiti.

Dai campanili alle campane il passaggio del discorso è quasi d’obbligo ma mi posso disimpegnare egregiamente lasciando la parola al benemerito montecassianese Gabriele Svampa, che in un volumetto dedicato al suo paese scrive: “Nella torre di Santa Maria esistono cinque campane intonate in re, fa, la, re, fa e il concerto che ne deriva, quando i nostri bravi campanari, nelle solennità, suonano a distesa, è molto bello e gradito. Gli abitanti dei paesi vicini ripetono spesso questa insolente strofetta: “Mondecascià delle belle cambane, / l’ómmini è brutti, le donne p…!” E le donne, allo sfacciato insulto, rispondono imitando il suono delle campane di San Marco: “Chi scì, chi no, chi scì, chi no…”.

Claudio Principi

8 marzo 2024

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