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Tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

di Claudio Principi

 

La civetta

Davanti al Caffè dello Sport, presso Porta Sajano di Montolmo,sono seduti alcuni avventori che, con lo sguardo indagatore, osservano il via vai dei passanti. Tacchi altissimi a spillo, ecco avvicinarsi una donnina rotondetta, molto truccata e vistosamente vestita. Un pensionato, come a esprimere una critica, chiede sardonico: “E cchji dè ‘lla cioétta?” (E chi è quella civetta?) Risponde prontamente il suo compagno di tavolino: “Adè ‘na cioétta che non c’è ccéllu che non ci-ha lassato quarche piumma!” (E’ una civetta che non c’è uccello che non ci abbia lasciato qualche piuma!).

 

I dolori dei cristiani

Vingè de Stura stava a ggoernà’ le vèstje (prov-vedeva ad accudire il bestiame bovino) e sfaccendava tra i pagliai e la stalla, quando la moglie, affacciatasi dalla finestra della camera da letto, lo chiamò a gran voce dicendogli di correre subito da lei. Essendo la moglie in fase di inoltratissima gravidanza Vingè lasciò immediatamente le sue faccende e accorse dalla moglie, proprio come dice il proverbio “lassa lu focu ardiènde e ccuri da la donna parturiènde!” (lascia il fuoco acceso e corri dalla donna che sta per partorire). La trovò buttata sul letto in preda ormai alle doglie del parto. La donna disse al marito di correre a chiamare la mammana (la levatrice) mentre si lamentava, poveretta, per i grandi dolori, finché gli scappò detto: “Viati ll’òmmini, che ‘n gèrti dolori mango se li sogna!” (Beati gli uomini che certi dolori nemmeno se li sognano!). Nell’udire ciò Vingè che stava scendendo per le scale replicò: “E vuatri donne non potete ‘mmajenà’ quanto fa male un càciu datu vè’ su li cojoni!” (E voi donne non potete immaginare quanto fa male un calcio ben assestato sui coglioni!).

 

 

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