“Don Ercole” di casa nostra!

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di Cesare Angeletti

 pag.-13-Don-Ercole


 “Don Ercole “ è un nome fittizio ma il personaggio è veramente esistito. Oggi lo si potrebbe chiamare “gigante buono” ma all’epoca in cui è vissuto fargli certi scherzi non era salutare, perché lui li ricambiava con una stretta di mano… “cordiale”, tale da disintegrare completamente la tua. Aveva un cuore grande ed era di una bontà unica ma si vergognava di farlo vedere e allora, spesso, era brusco e burbero. Era alto un metro e novanta e pesava un quintale. Braccia forti, schiena potente, gambe come colonne, insomma, aveva la forza di due uomini robusti messi insieme. La sua famiglia era di estrazione campagnola, molto vicina ai lavoratori dei campi e lui amava la vita contadina. Un giorno stava ad assistere alla trebbiatura sull’aia di un terreno vicino alla sua parrocchia. Papà, fattore, era amico di suo padre e lo aveva visto nascere. Con mio padre pesavamo i sacchi di grano che dovevano essere di 101,500 chili perché chi lo comprava voleva che il chilo e mezzo in più sopperisse al calo del grano che si asciugava, 1 chilo, e al peso del sacco, 500 grammi. Gli uomini portavano in due il sacco dalla trebbia alla bascula poi, pesato e legato, due di loro aiutavano un altro a metterselo sulle spalle per portarlo dentro la capanna a circa cento metri di distanza. Gli ‘incollatori’, fra un sacco e l’altro, facevano battute dicendo: “Imo sbajiàto tutto a fà li contadì. Se vuliàmo sta a sedé’ e fa’ li signori ce duviàmo fa preti!” E altre stoccatine del genere rivolte al sacerdote. Dopo un po’ Don Ercole si alzò, afferrò un sacco, pesato e legato e, da solo, se lo portò sulle spalle; poi si rivolse al giovanotto che con la lingua aveva menato più forte, che pesava sui settanta chili, ordinandogli: “Adesso montaci sopra!” Tutti restarono fermi e zitti. E lui: “Forza dategli una mano e fatelo salire sopra al sacco!” In due lo aiutarono, lui sui mise a cavalcioni e Don Ercole partì lento e sicuro portando il tutto sino alla capanna per poi tornare indietro e mettersi seduto sulla seggiola, ricominciando, come se nulla fosse successo, a chiacchierare con noi. Ho vivo il ricordo anche di un altro episodio che ha avuto per protagonista Don Ercole . Fatto parroco di una frazione mi chiamò per dargli una mano a organizzare la festa del Santo protettore della parrocchia e, oltre gli spettacoli, pensammo di organizzare una grande lotteria, decidendo di mettere come per primo premio, fatto unico in provincia, una bicicletta da corsa Bianchi. Era la prima volta che una lotteria di parrocchia aveva un premio così importante. Era, per capirci, come se oggi si mettesse in palio una macchina di grossa cilindrata. La sera della festa feci l’estrazione e un signore venne con il suo biglietto a ritirare la bicicletta che gli fu subito consegnata. La festa era grande e né io né il parroco ci preoccupammo di ritirare il biglietto vincente dopo la consegna. Qualche giorno più tardi un noto personaggio, della frazione, quasi sempre ubriaco, si presentò da Don Ercole con il biglietto vincente della lotteria chiedendo la bicicletta. Ci fu un po’ di confusione ma poi, verificata l’esattezza del tagliando e pur avendo già assegnato il premio, il parroco dovette comperare un’altra bicicletta e dargliela, anche per evitare chiacchiere. Tutta la frazione ne parlò per un po’ ma poi la cosa finì nel dimenticatoio. Dopo un paio di mesi incontrai Don Ercole che mi disse: “Vuoi sapere come è andata la faccenda della bicicletta? Stai a sentire… assegnato il premio il biglietto venne buttato in terra. Il figlio dell’ubriacone lo raccattò portandolo a casa dicendo al padre che quello era il biglietto vincente della lotteria. Lui, che era in un periodo buono fra una sbronza e l’altra, pensò di fare il colpo.” Io dissi: “Veramente è stata colpa nostra a non trattenere il biglietto. Ma tu come hai fatto a saperlo?” Lui nicchiò un po’ e poi fece: “Io avevo ingoiato il rospo ma non lo avevo digerito. I soldi guadagnati con la lotteria dovevano servire per aiutare i bambini poveri della parrocchia e invece ci avevo dovuto comprare la seconda bici! Una mattina, passando sul ponte, incrociai l’uomo, sceso dalla macchina, lo presi sotto le ascelle, lo sollevai dalla bici e poi lo misi fuori dal parapetto del ponte, naturalmente reggendolo forte, per non fargli correre rischi, dicendogli: “O mi dici come sono andate le cose o io ti lascio. Lui si sbiancò in viso, gli passò immediatamente la sbornia, e mi raccontò tutto. Lo rimisi a terra e lui crollò lungo disteso. Mi fece pena. Lo aiutai a riprendersi e lo rimisi sulla bici con una spinta per mandarlo via”. Ecco questo era “Don Ercole” . Da qualche anno è in cielo. Mi piace credere, ricordando con affetto il caro amico, che se facesse a braccio di ferro con Ercole, con Sansone e tutti gli altri forzuti sicuramente vincerebbe lui. Perché aveva una grande potenza fisica, una immensa fede e un enorme amore per i suoi fratelli e con queste tre forze unite di certo nessuno lo può battere.

 

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