Una scorza di pane

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di Fulvia Foti

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Oggi, mentre sto scrivendo, è il 24 maggio 2015. Allora era sì il 24 maggio ma del 1915 e mia nonna era sola a Trieste con le sue cinque figlie la cui età andava dai 4 ai 14 anni. Mio nonno, come tanti altri uomini, era stato deportato verso Torino. Il cibo scarseggiava, mia nonna aveva provveduto a fare una buona scorta di provviste e stava attenta a conservare in un sacco di tela ogni pezzetto di pane che avanzava. Venne il giorno in cui il cibo finì e le mie zie e mia madre chiedevano a mia nonna: “Abbiamo fame mamma, non c’è neanche una scorza di pane?” Mia nonna, non resistendo alle loro lacrime uscì con tutte e cinque le figlie e si recò alla vicina piazza dell’Ospedale Maggiore (dove anche io sono nata) sperando d’incontrare un militare austriaco. Lo incontrò e gli chiese (lei masticava un po’ di tedesco): “Per favore, una pagnotta di pane per le mie figlie”. Per tutta risposta il militare appoggiò la baionetta sguainata vicino al collo di mia nonna e rispose: “Taci donna, se non vuoi morire!” Ma lei, imperterrita, continuò: “Muoio contenta se le mie figlie avranno un po’ di pane!” Ebbero il pane. Questo episodio è stato ricordato tante volte nella mia famiglia; mia madre m’insegnò che quando casualmente mi cadeva una fettina di pane dalle mani lo dovevo raccogliere e baciare, per rispetto, perché il pane è la vita. In quel modo la guerra ci aveva insegnato: diritto al cibo… diritto a una “scorza” di pane!

 

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