Quello che sta avvenendo nell’antica città romana di Urbs Salvia, parco archeologico più importante delle Marche e, forse, dell’Italia centrale, è sconvolgente. Sono in corso degli interventi che nulla hanno in comune con l’archeologia, che recano offesa alla storia e alle testimonianze della cultura romana sopravvissute per oltre 20 secoli.
Copertura criptoportico
Negli anni passati furono rimosse le protezioni provvisorie in lamiera zincata e si completò la copertura del criptoportico, necessaria alla protezione sia della struttura che delle opere pittoriche esistenti. Il manufatto armonizzava con il resto delle testimonianze archeologiche emergenti. In seguito si sono eseguiti (e si eseguono) interventi protettivi fuori dal contesto ambientale.
La copertura troppo alta
Il primo fu effettuato, alcuni anni fa a opera del dipartimento di archeologia dell’università sotto la direzione della scomparsa Giovanna Fabbrini, allo scopo di proteggere una porzione di mosaico geometrico di circa due metri quadrati. Fu eseguito il restauro con una considerevole spesa ma, sopraggiunta la stagione invernale, il mosaico fu danneggiato dal gelo, in quanto la costosa e ingombrante copertura alta 5 metri e completamente aperta da tutti i lati non lo aveva protetto dalla pioggia e dalla neve: si dovette procedere a un secondo restauro con relative spese.
Il gabbiotto
Il secondo discutibile intervento è un gabbiotto cubico (non meglio definibile) di circa 50 metri quadrati, di incerto utilizzo: chi dice deposito bici, chi dice gabinetti. Certo è che al momento è inutilizzato e coperto di ruggine. Non si riesce a comprendere perché una tale struttura estranea all’ambiente sia stata edificata a poca distanza dall’ingresso dell’anfiteatro, a pochi passi da Porta Salaria. A poche decine di metri si è eretto un altro manufatto, fatto di putrelle di acciaio e vetro, adibito a biglietteria, anche questo a pochi metri dall’ingresso dell’anfiteatro e a poca distanza da un monumento funebre romano.
Una copertura sovradimensionata
Poi ve ne è un terzo adibito a protezione di due porzioni di muro di scarso valore. Qui non si è andati per il sottile: è una copertura a due falde realizzata con putrelle di acciaio dal peso di diverse tonnellate con copertura in lamiere di colore rosso, manufatto decisamente sovradimensionato, posto alla sinistra della strada che va ai rustici (depositi della Soprintendenza).
La casa colonica dell’800
Ma l’intervento più clamoroso è quello che si sta realizzando a Porta Gemina, la più importante porta della città romana, dove ancora emergono importanti vestigia del monumento. Qui iniziava la strada diretta a Faleria, Firmum e Asculum. Nell’800 sopra vi si costruì una casa colonica, l’ edificio è quasi totalmente crollato, senza più tetto, solai intermedi e muri interni, resta solo una parte dei muri perimetrali. Si pensava che l’intervento mirato alla valorizzazione di Porta Gemina presumesse la demolizione totale della casa colonica, con il proposito d’indagare il collegamento della Porta Gemina con la cinta muraria difensiva di Urbs Salvia e con le tracce del decumano massimo che da lì iniziava la salita verso il Foro e il Teatro, incrociando il cardo giacente sotto la Strada Statale 78 Picena.
Restauro da 700mila euro
Invece è previsto il restauro di quel che resta (poco) della casa colonica, per cui si è ritenuto necessario inchiavardare i muri per evitarne il crollo. Spesa quasi 700mila euro (l’equivalente di 1miliardo e 400milioni delle vecchie lire). A confronto mi viene in mente il restauro del criptoportico, che incluse lo svuotamento stratigrafico delle gallerie (circa 200 metri lineari), il restauro delle opere pittoriche del secondo periodo pompeiano, la totale copertura del tutto con una struttura in acciaio di circa 2mila mq, oltre la recinzione perimetrale e l’abbattimento delle barriere architettoniche. Il costo della operazione fu sostenuto con generosità dalla Fondazione Carima con 500mila euro. A parte il confronto sui costi delle due operazioni, sorge legittimo il dubbio sulla necessità di un intervento di nessuna validità, né culturale, né storica. Colpisce che tutte le operazioni descritte abbiano avuto l’avallo dell’Istituto di tutela: la Soprintendenza archeologica regionale.
Umberto Migliorelli
19 settembre 2018