Mentre il contenitore d’arte Palazzo Ricci si fa bello ne ripercorriamo la storia  

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Chi dovesse passare per Macerata dalle parti di Palazzo Ricci, il bel contenitore di Fondazione Carima che custodisce una favolosa collezione di opere d’arte del ‘900, non si dovrà impressionare: non è stato un redivivo Christo Vladimirov Javacheff, geniale realizzatore di land art che tante strutture ha impacchettato in giro per il mondo, a incartare anche il palazzo nobiliare ma una impresa edile specializzata in restauri.

Infatti Palazzo Ricci deve rifarsi il maquillage, come spiega la Presidente Rosaria Del Balzo Ruiti: “Sono stati rilevati segni di degrado generalizzato su gran parte delle facciate esterne di Palazzo Ricci e in particolare in quelle più esposte all’attacco degli agenti atmosferici. A seguito di tali rilievi è stato effettuato un approfondito sopralluogo con un nostro tecnico di fiducia che ha elaborato un progetto tecnico per lavori di manutenzione e risanamento conservativo finalizzati a conservare, recuperare e valorizzare gli elementi di carattere storico, artistico e architettonico dell’edificio. Tali lavori si rendono oltremodo necessari anche per ragioni di sicurezza poiché sia gli elementi lignei costituiti dalle persiane, che gli elementi laterizi interni alle finestre presentano un significativo degrado con rischio di caduta sulle sottostanti vie pubbliche”.

Quindi un occhio attento da parte di Fondazione Carima sia per la incolumità dei passanti come per la conservazione della storica struttura, sorta sull’area che nell’alto medioevo era contigua al Castrum Maceratae.

L’edificio è armonicamente inserito nel centro storico grazie allo stile conforme alla parte antica di Macerata e si sviluppa su quattro piani, il primo decorato esternamente a bugne trapezoidali; la facciata presenta lesene binate e sono presenti due portali indifferenziati per dimensione e decorati da una modanatura a guscio, con il principale che dà su via Domenico Ricci.

La storia del palazzo è complessa e riguarda la famiglia Petrocchini, proprietaria, legata alla stirpe dei Ricci, giuristi, soldati e pubblici amministratori che lo ereditano grazie al matrimonio tra le due casate. Nella seconda metà del ‘700 la residenza viene ricostruita per volere di Antonio Ricci, marchese di Castel Basso.

Ordine e disciplina governano la concezione degli spazi interni: il collegamento verticale tra i piani avviene tramite un maestoso scalone di chiara impronta vanvitelliana. L’essenza geometrica, la semplicità degli spazi, la sobrietà formale, l’elegante decorazione   pittorica e plastica rendono gli ambienti un esempio prestigioso di architettura maceratese del XVIII secolo.

Il restauro operato tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del XX secolo a opera di Fondazione Carima, che lo acquista nel 1976, riporta all’antico splendore i cicli di dipinti murali che ornano i soffitti di numerose sale distribuite sui tre piani. Si riconoscono anche i temi iconografici tipici de “Le Metamorfosi” di Ovidio, soprattutto nelle sale del piano di rappresentanza. La cappellina, situata al terzo piano, conserva una tavola di Vittore Crivelli raffigurante “La Pietà”.

L’arredo, recuperato con una meticolosa ricerca che ha consentito anche il ritrovamento di complementi originali della residenza, mantiene una linea conforme al luogo che lo accoglie e presenta uno stile variegato che va dal Luigi XIV sino allo stile impero.

L’edificio ospita una ricca collezione del ‘900 Italiano di pittura e scultura. Assemblata per fornire una panoramica delineata e completa sulle tendenze artistiche del secolo scorso, la raccolta vede la presenza di artisti marchigiani che si ritagliano un ruolo di rispetto nelle tendenze artistiche nazionali e intrecciano i propri percorsi con le avanguardie e le correnti espressive d’Italia e d’Europa. Qualche nome? Bonichi in arte Scipione, Balla, Prampolini, Dottori, Depero, Pannaggi… per non dire di De Chirico, Fontana e… e… e…

4 ottobre 2020

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