Studioso maceratese contesta gli scritti della ricercatrice tedesca Sahler su San Claudio

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Nel 1993, per studiare i particolari edifici quadrati con cinque absidi e quattro pilastri centrali, di San Claudio al Chienti, San Vittore alle Chiuse, Santa Croce dei Conti e Santa Maria delle Moje, è arrivata nelle Marche una ricercatrice tedesca: Hildegard Sahler.

Nel corso di diversi anni ha pubblicato uno studio per ognuna delle quattro chiese, il più corposo dei quali dal titolo: “San Claudio al Chienti e le chiese romaniche a croce greca iscritta nelle Marche”, di 300 pagine, di cui 50 di apparati e con 228 fotografie. Nonostante la sua bravura, dimostra di essere una studiosa di parte. Come esistono i tecnici di parte, gli avvocati di parte, così esistono gli studiosi di parte. L’avvocato di parte ingigantisce gli argomenti a favore della sua “parte” e rimpiccolisce gli argomenti a favore della controparte: così ha fatto la Sahler. Dobbiamo domandarci: “Di quale parte è parte?

La risposta è: di un folto e forte gruppo di intellettuali della Renania Settentrionale-Vestfalia. Essi tramandano una teoria, nata nel 1800, con cui si afferma che Aachen, importante città tedesca al confine con Belgio e Olanda, sia stata la capitale dell’impero carolingio perché lì una chiesa, secondo loro, sarebbe stata fatta costruire da Carlo Magno.

Ma… ricordiamo che, secondo la lettera del Vescovo Teodulf, l’oratorio, che lui ha fatto costruire a Germigny-des-Près, è a imitazione della chiesa della capitale dell’impero, cioè di quella voluta da Carlo Magno ad Aquisgrana. Perciò quell’edificio di Aachen, a pianta ottagonale e con un’altezza goticheggiante, dovrebbe assomigliare alla chiesa francese che però è quadrata, come il gruppo di chiese marchigiane appena citato.

E la studiosa tedesca? Hildegard Sahler, che pure dichiara di interessarsi solo di architettura, affronta anche il tema dei “Ministeri” che, deve ammettere, si trovano solo in quella che fu la diocesi di Fermo fino al 1572. Nella sua opera equipara i “Ministeri” ai gastaldati longobardi e addirittura afferma: “È molto probabile che il vescovo di Fermo […] fondi una pieve nella curtis Casalis, di proprietà vescovile; nel contempo essa diventa sede dell’omonimo ministerium, l’unità amministrativa della diocesi di Fermo”.

Lei sembra, però, ignorare il “Capitulare de Villis”: capitulare importantissimo con i suoi 70 articoli che descrivono la organizzazione della reggia carolingia (secondo l’opinione diffusa tra gli studiosi), cosa e come coltivare; perciò in questo testo si trova l’elenco di tutti i prodotti che vi si producevano e sono tutti prodotti che potevano crescere solo nell’area mediterranea. La reggia aveva un territorio limitato e, in questo ordinamento giudiziario, era suddivisa in ministerium, curtis e villae.

Nella premessa all’edizione italiana di “San Claudio Al Chienti”, l’Autrice scrive: “Si è già accennato all’ipotesi di Giovanni Carnevale che San Claudio al Chienti sia stata la vera ‘Aquisgrana’ di Carlo Magno. Le sue pubblicazioni – qui citiamo l’ultimo ampio volume ‘La scoperta di Aquisgrana in val di Chienti’, Macerata 1999 – si basano in parte su interpretazioni e analogie scientificamente poco discutibili”. Pur non dicendo quali siano le interpretazioni e le analogie poco discutibili e quelle discutibili, visto che tali pubblicazioni solo in “parte” si basano su interpretazioni e analogie scientificamente poco discutibili, è venuta inevitabilmente a conoscenza del “Capitulare de Villis”, documento trascritto da pagina 44 a 51 proprio nel libro da lei citato.

In questa legge carolingia per ben 15 volte viene nominata la parola Ministerio o Ministeriales e 4 volte la parola Curtes. La Sahler, pur ammettendo che i “Ministeri” sono presenti solo nella diocesi di Fermo, invece di collegarli alla reggia franca li collega ai gastaldati longobardi. La brava studiosa di parte sembra, perciò, non ricordare la sconfitta di Desiderio, re dei Longobardi, nel 774. Non ricorda neppure che Carlo Magno conquista quasi tutta la penisola italiana, a eccezione del ducato Longobardo di Benevento, che allora viene lasciato indipendente come stato cuscinetto al confine con l’Impero Romano d’Oriente ancora presente a Sud.

Del ducato di Spoleto, invece, alcuni ricercatori affermano che sia rimasto in mano alla stirpe Longobarda ma nessuno nega che sia entrato in quello che nell’800 diventerà l’Impero Carolingio. In Abruzzo, nella Marsica, viene descritto il passaggio dal potere longobardo a quello franco “Con la lenta penetrazione dei Franchi nei nostri difficili territori, fu eliminato il titolo di ‘gastaldo’ e sostituito con quello di ‘Conte’ […] Questi centri, in base al decreto di Ludovico I (819), vennero affidati, come detto ai loro Conti, che sostituirono in tutto i vecchi gastaldi”. L’Impero Carolingio arrivava fino in Abruzzo e, per la precisione, comprendeva la Marsica e sull’Adriatico fino al Trigno.

Come ha scritto Angeloni, con l’avvento Franco nella Marsica, il termine longobardo Gastaldato stava scomparendo, mentre la Sahler lo risuscita per la diocesi di Fermo. Lei, così, mischia periodi storici diversi che vedono al potere etnie diverse, giocando sui nomi “Ministeri” e Curtis: è necessario, invece, distinguere. Dopo il 774 i Franchi prendono il potere in tutti i territori dell’attuale regione Marche, che sono uniti al resto dell’impero. Sorvoliamo sulle donazioni di Pipino il Breve e Carlo Magno al Papa (sono di diritto pubblico o privato?) e su alcuni longobardi che corrono in aiuto del vincitore Franco.

Passano più di cento anni e nel X secolo il potere nell’Impero viene preso dai Sassoni (Enrico I, Ottone I ecc.) e quindi non è vero ciò che afferma la Sahler: “Già nel secolo X le marche di Fermo e di Camerino si staccano dal ducato di Spoleto. Di conseguenza questi territori longobardi non si sentivano appartenenti al ducato di Spoleto”.Quando nei documenti del X secolo si trova scritto che i territori nelle Marche di Fermo e Camerino vedono la presenza dell’etnia longobarda non indicano certo un territorio autonomo longobardo. Questi, abili uomini d’arme, erano comunque sottoposti all’impero Sassone, erano parte dell’impero Sassone, non certo del territorio indipendente longobardo.

La Sahler collega i “Ministeri”, che anche lei riconosce presenti solo nella Diocesi di Fermo, ai Gastaldati minori solo perché hanno la stessa dimensione, poi, aggrappandosi sugli specchi, arriva a dire che, a causa della soppressione delle antiche diocesi (e parliamo del VI sec.!), vi sia il passaggio riorganizzativo in “Ministeri”. Come sia possibile che la Diocesi di Fermo, dopo ben cinque secoli, si ricordi del territorio di Pausolae, usando il titolo (franco) di “Ministerio” e successivamente il nome longobardo di Gastaldato, è un mistero più che un ministerio! Ragionandoci sopra, sarebbe stato più naturale prima mettere il nome longobardo Gastaldato e poi, dopo la loro sconfitta, quello franco di “Ministerio”.

Con una ulteriore contorsione arriva a collegare i “Ministeri” alle Pievi. Due righe sotto scrive: “dal 1178 in poi appare il termine Gastaldatum, già noto sotto l’organizzazione longobarda, che sostituisce Ministerium”. Pur di non dire che Ministerium è un termine franco presente solo nella reggia di Ludovico il Pio, la Sahler arriva a resuscitare, dopo quattro secoli dalla scomparsa del loro potere nelle attuali Marche, un termine longobardo. “Il Ministerium S. Claudii, che fa supporre l’esistenza della Pieve di San Claudio, è documentato solo dal 1089 in poi.” Appunto fa supporre. Con molta intelligenza svia gli studiosi sostenendo: “I territori dei ministeria si rifanno molto a quelli appartenenti alle pievi, sebbene solo in pochi casi possano essere fra loro equiparati”: nella seconda parte di questa frase nega, pertanto, quello che afferma nella prima.

Successivamente scrive: “Da questa situazione nasce l’unità amministrativa del ministerium, che è in stretto rapporto con l’organizzazione pievana.” Citando Pacini rafforza l’idea di equiparare ministero a pieve: “Pacini ipotizza la formazione dei ministeria, a loro volta strettamente legati all’organizzazione della pieve.” Appunto ipotizza. Non arriva al punto di equiparare i “Ministeri” alle Pievi ma lancia l’amo in modo subliminale, per iniziare a condizionare gli studiosi incauti e far passare l’idea che ministero sia sinonimo di pieve.

La Sahler per sminuire il termine “Ministerio” lo paragona impropriamente a Gastaldato e Pieve, sorvolando sulla parola Privilegio. In documenti del 1165 e del 1219 è usato il termine “Privilegio di S. Claudio”: su questa parola, che pure mette nella “tabella cronologica relativa alla storia di S. Claudio al Chienti”, si guarda bene dal dare alcuna spiegazione e si limita a scrivere: “per due volte appare il termine privilegium al posto di ministerium. Forse si tratta della stessa unità territoriale che ha assunto una particolare immunità”. A parte l’uso del forse (avverbio abbondantemente usato dalla Sahler con tutti i suoi sinonimi, almeno negli scritti pubblicati in Italia), non spiega perché è Onorio III a concedere il Privilegio ma si guarda bene dall’ipotizzare la possibilità di un “Ministerio” di origine carolingia che diventa Privilegio quando le terre passano in amministrazione provvisoria alla Chiesa.

Citando Pacini, mette in evidenza che: “I ministeria sono quasi del tutto assenti nel territorio centrale della diocesi di Fermo, cioè nella valle dell’Aso”, il che, più che dare spiegazioni sul termine, pone ulteriori domande. Anche sulla parola Curtis, di cui si parla per 4 volte nel “Capitulare de Villis”, la studiosa di parte mena il can per l’aia, infatti sostiene: “Nel territorio longobardo il casale è l’accorpamento di più fattorie che con le loro terre formano un insediamento. In epoca carolingia essi [i casali N.d.R.] spariscono gradualmente o vengono integrati in altre strutture, il più delle volte adottando la forma di una curtis”. Quindi, quando nel XII secolo si trova nei documenti “curtis casalis”, si intende la ripetizione di due antiche parole che indicano la stessa cosa ma secondo etnie diverse: “casalis” era usato dai Longobardi e “curtis” dai Franchi in quanto presente nel “Capitulare de Villis”.

Non è quindi vero ciò che dice la studiosa: “L’uso del termine fundus Casalis, usato insieme a quello della curtis Casalis, a partire dal XII sec. testimonia come il Fermano, quale ambito di confine, sia aperto agli influssi provenienti dalla regione bizantina”. Sono passati quattro secoli da quando sono scomparsi i Bizantini dalle nostre terre, mancano pochi anni alla caduta di Costantinopoli (alla capitolazione durante la Quarta crociata nel 1204) e l’influsso culturale da parte dell’Impero Romano d’Oriente sarebbe potuto venire solo dal mare.

La brava studiosa dimostra ulteriormente di essere di parte quando scrive: “Tra le terre, situate nel territorio di S. Claudio, si trova <curtis una integra que vocatur Campolongo>” e anche tre righe dopo asserisce che nelle carte dell’I.G.M. esiste ancora lì il nome Campo Lungo. Lei, pur conoscendo questa località, si guarda bene dal dire che Campolongo è il campo militare permanente dell’esercito franco. Per di più si guarda bene dal citare la vicina Campomaggio: eppure ancora oggi vi è un cartello stradale che lei dovrebbe ben conoscere, visto che per anni ha girato intorno alla chiesa. Così può evitare di dire che il campo maggio è il luogo dove a maggio si riuniva l’esercito carolingio per poi partire per le varie campagne militari.

Albino Gobbi

31 maggio 2021

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