Il riciclaggio dei simboli arcaici: la Grande Madre che divenne Madonna della Pia

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Le figure medievali che troviamo enigmatiche su capitelli, portali e su pietre di riuso applicate alle facciate di edifici storici, sono spesso simbologie riconducibili al culto antico della Grande Madre e dell’associato elemento acqua.

Arcaiche simbologie simili in tutto il pianeta – Quando vediamo sirene, serpenti, spirali, onde, tralci di vite, losanghe, clessidre, cerchi concentrici, parlano sempre di Lei, la divinità più antica, che in statuette votive in pietra o terracotta riconosciamo dal ventre e dai seni in evidenza, e testa e piedi quasi inesistenti. Simboli arcaici, riconoscibili, e soprattutto universali: la mente umana li ha concepiti e rappresentati in ogni angolo del globo terrestre nello stesso modo. Sono il segno che i nostri progenitori primitivi erano dotati di coscienza, di quella spinta a voler comprendere il mondo che li circondava, il perché della loro esistenza, e cercare di propiziarsi quella entità creatrice che da qualche parte doveva esserci.

Fertilità – La cosa più immediata e logica era propiziarsela nel susseguire delle stagioni, una parola sola riassume tutto ciò che si cercava, per la propria sussistenza e sopravvivenza: la fertilità. Fertilità dei campi per un buon raccolto protetto dalle intemperie, fertilità del bestiame, fertilità delle donne per assicurare la discendenza. Il Dio femmina nel tempo sappiamo che è stato sostituito da quello maschile, noi preferiamo parlare di evoluzione: la dea madre rappresenta anche la materia, mentre il dio maschile tende al cielo, allo spirito. Che poi questo cambiamento sia stato strumentalizzato a favore del maschilismo è tutta un’altra storia non oggetto di questo articolo, con buona pace dei seguaci della ricercatrice Marija Gimbutas.

Riciclaggio dei simboli – Comunque sia, molto del culto della dea è rimasto, tramandato in modo sincretico dando nuovi significati ai simboli, riciclandoli letteralmente: non si può distruggere completamente ciò che viene utilizzato da millenni. C’è anche un altro fatto determinante a sviare dal giusto cammino: l’illuminismo distruttore delle antiche conoscenze, aiutato dalle devastanti, e ricorrenti, pestilenze. Fu così che quando si tornò ad apprezzare l’antico, erano già state cancellate le identità dei popoli italici e distrutti tanti marmi (ndr: le pietre “parlano”) per farne calce. Si sopperì ai vuoti storici rendendo tutto l’antico a etrusco o a greco, a medievale longobardo o templare. Però qualche manufatto, forse confuso con divinità “lecite”, venne salvato e riusato.

La chiesa “Madonna della Pia” – Ha ispirato questa dissertazione una scultura che si trova affissa sopra il portale di ingresso di una chiesetta, di cui vi diamo l’unica descrizione che abbiamo trovato in rete: “Piccolo edificio romanico recentemente restaurato. Da notare i due arconi che si aprono sui fianchi e l’abside adorna di un fregio a mensole. Sopra il modesto portale un rozzo rilievo raffigurante una testa umana e un fiore”. Si tratta della chiesetta della “Madonna della Pia”, in località Cantalupo di Bevagna, in provincia di Perugia.

Eretta su resti più antichi – Da affioramenti intorno alla costruzione si intuisce che questa sia ciò che resta di una costruzione molto più grande, situata in cima a una collina con la tipica vista panoramica mozzafiato a totale controllo del territorio circostante, dove passava una via in epoche passate molto transitata. L’edificio attuale si presume costruito intorno al 1300 sui resti di una pieve già tempio romano.

La scultura in bassorilievo – La scultura è in travertino, non pietra locale; inizialmente ritenuta una divinità pagana, più recentemente è stata definita raffigurante la faccia di un re longobardo con sotto un fiore. E le gambe? Premettendo che i longobardi hanno lasciato sculture tutt’altro che rozze, come viene definita questa, l’usura del tempo non ha cambiato sicuramente i connotati alla figura. Tutto può essere, ma non sembra proprio una realizzazione longobarda. Tra le varie rappresentazioni della Grande Madre, per effettuare una comparazione molto pratica prendiamo il ciottolo di Tolentino, e una pintadera solare nuragica della Sardegna e già qualche intuizione, pardon, ucronìa, comincia a palesarsi.

L’analisi – Azzardiamo una descrizione della simbologia semplice, chiara e riconoscibile di questo reperto eccezionale: come nelle varie statuette, troviamo la testa e le gambe stilizzate, anzi le gambe sono piuttosto una vagina; la centralità è nel ventre, ben lavorato, rappresentato da due cerchi concentrici (acqua) e un fiore-sole (l’energia fecondatrice). Sembra ciò che rimane di una struttura più grande, forse un portale, uno stipite. Forse una fonte sacra. Avrà fatto capriole, subìto terremoti, colpi di mazza, ma è ancora lì a reclamare preghiere. L’Umbria non è solo Assisi, c’è tanto altro da custodire e riscoprire.

Si ringraziano: Silvio Sorcini per la foto della scultura, la Fattoria all’Ombra della Pia per le informazioni, Rino Barbieri autore del testo “Segni di Acqua”.

La interpretazione di Rino Barbieri

Scrive Rino Barbieri: “Il fiore richiama la primavera e la rinascita vegetativa, immagine di gioia e bellezza. La figura è quasi antropomorfa dove la testa è umana, il fiore al centro quasi la pancia della donna gravida e infine, sotto, l’indubbio segno del triangolo pubico, l’organo sessuale da dove nasce la vita umana. Messaggio di invito a entrare in chiesa, a pregare per la vita che verrà. Manifesto pubblicitario per il nuovo messaggio cristiano”.

Simonetta Borgiani

3 giugno 2021

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