Te lu recòrdi l’ombrellà? Un girovago dei mercati e l’ennesimo mestiere dimenticato

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Chi frequentava il mercato tradizionale, nelle vie del centro, forse ricorda quest’uomo tanto necessario alla gente. Oggi le persone non comperano più gli ombrelli di buona qualità; si acquistano degli aggeggi che durano solo poche ore e col sistema di usa e getta li si ricompera dai “marocchini” di turno. Non c’è più la volontà di esibire un bell’ombrello di classe; quell’attrezzo che faceva l’uomo chic. Né, tanto meno, si riparano.

Per il vero, a distruggere questo mito del parapioggia elegante sono stati anche i ladruncoli che, all’uscita dei locali pubblici, hanno sempre fatto finta di sbagliare,  prendendo il più prezioso tra gli ombrelli. Una volta, in Ascoli, ho conosciuto una elegante signora che mi ha confidato: “Io, l’ombrello non lo compero e non lo porto mai con me. Quando piove e mi serve, entro in un locale, sfilo dall’apposito contenitore quello più bello e vado dove devo andare. Quando, poi, smette di piovere entro in un altro locale e lo deposito. Mica lo rubo!” Di gente strana ne ho conosciuta tanta ma a questa può essere assegnata la medaglia della stupidità.

Ritorniamo a parlare del nostro utile attrezzo. Fino agli anni 50-60 non tutte le famiglie potevano permettersene uno di lusso o di buona qualità e, per averne uno utilizzabile, era spesso necessario rattoppare un ombrello vecchio. Ecco che si viene a parlare di un girovago che nei mercati di paese mai mancava: l’Ombrellaio.

Quello dell’ombrellaio era un antichissimo mestiere, oramai scomparso. Una figura caratteristica delle epoche in cui l’economia familiare si basava sul risparmio e nulla si buttava fino al raggiungimento della completa usura dell’oggetto stesso. L’ombrellaio era come il ciabattino: viveva una vita grama in quanto i suoi datori di lavoro altri non erano, in maggioranza, che dei poveracci impossibilitati di acquistare un ombrello nuovo e si rivolgevano a lui sperando in un miracolo: che quell’ombrello, ormai fuori uso, tutto sgangherato e rotto, potesse diventare ancora sano e resistente, ai colpi furiosi della tramontana senza “scappucciàsse” (capovolgersi con rottura conseguente).

Anche l’ombrello, come altri arnesi di uso quotidiano, veniva conservato con cura e quando si rompeva veniva riparato. L’ombrellaio era l’artigiano ambulante, che rigenerava e rattoppava gli ombrelli rotti dalle forti raffiche di vento o consumati in qualche loro parte. Egli rattoppava la tela, sostituiva le stecche, cambiava il manico e l’ombrello tornava a funzionare.

Durante l’autunno, questo artigiano, iniziava a girare per le strade del paese con la sua cassetta, in cui riponeva gli attrezzi: le pinze, il filo di ferro, le stecche di ricambio, pezzi di stoffa, aghi e filo. Sedeva sulla sua cassetta di legno e cominciava il restauro. La vita dell’ombrellaio era davvero grama, i suoi clienti erano povera gente che, non potendo comprare un ombrello nuovo, gli chiedeva dei veri miracoli. Nei casi proprio impossibili, era in grado di offrire ombrelli già “rigenerati”, ottenendo indietro quello malandato per prenderne pezzi di ricambio.

Fino ai primi anni del dopo guerra, quando le cattive condizioni economiche della maggioranza della popolazione italiana permettevano l’acquisto di un solo ombrello per tutta la famiglia e c’era la tendenza a non buttare via nulla, gli “ombrellai” erano moltissimo ricercati e grazie al loro ingegnarsi riuscivano a sopravvivere, malgrado i non alti guadagni ottenuti dalle riparazioni. Ecco un altro mestiere dimenticato.

Alberto Maria Marziali

6 settembre 2021

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