Tradizioni popolari maceratesi: la festa di San Giovanni, pratiche e credenze magiche

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Riassumo un articolo di don Pietro Diletti, studioso del nostro folklore, con oggetto la festa religiosa di San Giovanni (23/24 giugno), festa molto popolare nel maceratese per le tante pratiche, credenze superstiziose e magiche a essa collegate. Attingo anche da altre fonti.

Dice un vecchio adagio: “Credesi dalla plebe che in cotal notte mutisi in mosto l’umore della vite per virtù della rugiada di tal santo. La quale era inoltre giudicata un farmaco potente a guarire ogni guisa di cutanee malattie”. Nella stessa notte l’agricoltore, munitosi di un mazzolino di tre spighe di grano marcio, scendeva fino al fiume più prossimo e gettava le spighe nella corrente, credendo così di liberare il raccolto dalle erbe nocive.

Per San Giovanni, festa del solstizio d’estate, ha inizio la mietitura del grano: “San Giovanni, pija la falce e vai spuntanno” ; i contadini si avviavano al lavoro sotto questi auspici. La rugiada della notte del Santo è legata altresì alla tradizione dell’acqua odorosa. Si praticavano ovunque bagni e abluzioni con l’acqua intrisa di fiori. Si pensava che durante questa magica notte le stelle mescolassero nei recipienti  con l’acqua lasciati scoperti sul terrazzo, o sul davanzale delle finestre, la miscela di petali e corolle.

Esistono comunque varianti in merito alla quantità e al tipo di fiori usati. Ginobili parla di “erbe odorose, una spiga di grano, l’erba dell’indivia e uno spicchio d’aglio”. Altri aggiungono fiori di ginestra, rose, gerani, oleandri, menta, timo ecc. Il mattino della Festa l’acqua odorosa e benedetta veniva filtrata e con essa si lavavano specialmente i bambini ritenendola efficace contro il malocchio.

In anni trascorsi(ma non è escluso che qualcuno lo faccia ancor oggi) i maceratesi ritenevano efficace bagnarsi alla mezzanotte nell’acqua corrente, per cui molti si recavano ai vicini fiumi Chienti o Potenza. Nelle località costiere si facevano pediluvi prima dell’alba, in attesa – si diceva – che apparisse il simulacro della testa del Santo. E sempre prima dell’alba i contadini conducevano al pascolo pecore e mucche per avere abbondanza di latte e lana. La rugiada (detta anche guazza) del Santo era ritenuta infatti salutare per il bestiame.

Lisà de Lurinzittu, un simpatico cronista  della zona di via Roma, a Macerata, dice che nelle campagne del maceratese – una volta – si sentiva questa filastrocca: “Domani è San Gioànno, lo sapete? / e l’orto vostro è tutto in fioritura  / ma vò’?- lo fior più bello – non ci sète / Quanno ve vedarò alla chiesa ‘nnare / tutta di nuovo e con bella figura / pregherò a San Gioànno che all’ardare / co’ mme  ve manda a st’addra mititura…”. Era la voce dell’innamorato che cercava di conoscere anzitempo la data per convolare a nozze con la sua ragazza. E vedendola andare in chiesa tutta agghindata per la festa di San Giovanni, fissava l’appuntamento per la prossima “stagiò de lo mète”.

Nella medesima notte di San Giovanni, le giovani fidanzate approfittavano per conoscere in anticipo il futuro possibile marito. In un recipiente di vetro – di solito una bottiglia piena d’acqua – esposto fuori dalla finestra o sul balcone, facevano cadere l’albume delle uova. Dalle diverse forme che la chiara il  mattino seguente poteva assumere, ricavavano predizioni in genere o anche la professione o il mestiere del candidato alle nozze. Se la forma somigliava a una torre voleva dire cambiar casa; con i fiori si speravano cose piacevoli entro l’anno; le croci erano simboli di morte; il matrimonio era indicato da due torri.

In altre parti si buttava nell’acqua fredda il piombo fuso. Anche qui, dall’osservazione dei disegni che il metallo assumeva nell’acqua, si poteva capire che genere di marito ci fosse nel futuro: se compariva una incudine lo sposo poteva essere un fabbro. Se una penna o un libro, il marito sarebbe stato un uomo di lettere o un impiegato. Se c’era una barca, lo sposo avrebbe fatto il pescatore, e via di questo passo.

Nella festività del San Giovanni la fidanzata regalava a lu vardasciu“lu mazzittu” composto di violacciocche, garofani, spighetta e rose. Il ragazzo andando a messa se lo appuntava sulla giacca o infilandolo nella cintura se andava scamiciato. Il dono veniva ricambiato il giorno di San Pietro. Tutte queste usanze pare abbiano origine o forse simboleggiano il battesimo di Gesù nel Giordano, conclude Diletti.

Goffredo Giachini

3 giugno 2022

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