Intervista a Marco Di Stefano, una persona che cerca di mettere in pratica i suoi sogni

Print Friendly, PDF & Email

In questa intervista andiamo a conoscere il Teatro della Comunità e il suo ideatore e fondatore Marco Di Stefano, attore di cinema e di teatro con all’attivo oltre settanta partecipazioni a film e un centinaio di produzioni di spettacoli diversi. Ha insegnato per dieci anni alla scuola “European Film College” in Danimarca. Si autodefinisce una persona che cerca di mettere in pratica i suoi sogni.

Che legame ha con le Marche? – “Tutto è nato ad Amandola, dove ho conosciuto (per lettere e telefono) il giovane assessore comunale alla cultura Avelio Marini, il quale mi aprì le porte della sua cittadina. Così insieme all’attrice e regista danese Brigitte Christensen mi recai ad Amandola con il nostro furgone Mercedes di colore rosso con targa danese”.

Quando e dove è nata l’idea di questo teatro? – “Il progetto nasce da mio padre Ugo, studente di Legge di origini siciliane, negli anni ‘30 a Roma. Il padrino di cresima paterno era Salvo Randone. Durante il periodo universitario alla Sapienza, Ugo metteva in scena Rosso di San Secondo e Pirandello. Durante la II guerra mondiale il mio genitore era tenente nel III Reggimento Bersaglieri ciclisti nel Kosovo; in uno scontro a fuoco contro i Lancieri del Bengala, fu ferito a una spalla. Lo stesso proiettile uccise il vicino sergente e caro amico. Fu preso prigioniero dai britannici, rimase alcune settimane ad Aden e poi fu imbarcato di nuovo per l’India. Fu portato a Yol dove rimase dal 1941 al 1946. Qui organizzò spettacoli teatrali, ma non avendo copioni, recitavano a memoria, cambiando soggetto ogni sera. Questa idea del teatro della Comunità nacque da lui, perché tornato in Italia voleva fare l’attore, ma il suo caro amico, con cui aveva condiviso la prigionia e la passione per il teatro, dopo essersi ammalato di polmonite in patria morì. D’altronde la prigionia a duemila metri di altitudine, sotto l’Himalaya, non era stata una passeggiata. La scomparsa dell’amico lo scosse e la sua vita prese una direzione diversa: la carriera nella magistratura, conservando sempre l’amore per l’arte che trasmise a tutti i figli. Iniziai a fare teatro nel 1977-78, il primo teatro della Comunità è datato 1983 nella cittadina di Amandola, dove nacque il “Festival internazionale del teatro e cinema” che ho diretto per 19 edizioni. Ogni anno il festival iniziava con il teatro della Comunità”.

Che cosa è il teatro della Comunità? – “Sono 14 incontri serali senza interruzione, al 14° incontro lo spettacolo è pronto scritto, diretto e interpretato dai cittadini”.

 Come si è sviluppato nel tempo? – “Questo progetto è diventato anno dopo anno una tradizione, è stato realizzato 106 volte in venti nazioni del mondo, superando tutto le barriere di carattere culturale, sociale, etico e religioso. Realizzando un vero senso di comunità sul palcoscenico”.

Ci dica delle vostre trasferte – “Siamo stati due volte in Uruguay e in Argentina, in Russia e Ucraina e in molti Paesi europei. Siamo stati apprezzati ovunque perché c’è un grande bisogno di comunità, e questo progetto aiuta a fare crescere nei cittadini il sentimento di socialità e partecipazione. Nelle Marche il teatro della Comunità è stato realizzato sei volte a Grottammare, due a San Benedetto del Tronto (al cine-teatro Calabresi), tre al teatro civico di Ripatransone, una al Serpente Aureo di Offida nel 2016 (durante le prove sentimmo le scosse sismiche agostane). Poi due volte al Ventidio Basso di Ascoli Piceno, 19 anni ad Amandola, 18 volte a Macerata, sette volte a Civitanova Marche, due volte al Filippo Marchetti di Camerino, una al teatro dei salesiani di Porto Recanati lavorando all’interno dell’hotel House (2006), due volte al cine teatro Dorico di Ancona. Nel teatrino di Pagliare del Tronto svolgemmo il progetto “La bottega degli imperatori” (operatori), parola coniata dagli stessi giovani attori altrimenti abili del centro diurno, diretto dalla dottoressa Tiziana Del Giovane. Quel progetto, che riuscì molto bene, lo portammo al teatro “Gyptis” di Marsiglia e poi al teatro Greco a Roma”.

Le emozioni e sensazioni più forti suscitate? – “Ogni volta è una cosa diversa, abbiamo avuto la possibilità e il piacere di lavorare con centinaia di persone di tutti i ceti sociali, provenienze e di tutte le età. A Civitanova avevo un uomo di novantasei anni che fu molto apprezzato dal pubblico. Emozioni enormi sono scaturite incontrando le persone più diverse, alcune senza fissa dimora, che attraverso il teatro hanno ritrovato la strada di casa. Ma anche persone con problemi di droghe pesanti, migliorando l’autostima, tanto da spingerle a iniziare il duro percorso della disintossicazione”.

Quali sono le gratificazioni ricevute? – “Vedere come le persone presenti all’hotel House venivano accettate dalla popolazione di Porto Recanati durante lo spettacolo. Ci sono state delle persone che avevano serie difficoltà di comunicazione e autistiche, con questo teatro hanno trovato il modo di poter comunicare liberamente il loro essere”.

Perché il Teatro della Comunità aggrega così tanto le persone? – “Perché le persone nel progetto sono una accanto all’altra per quattordici sere di seguito. Questo crea progressivamente un’atmosfera molto familiare, che è la premessa per esser poi creativi e artistici. Le persone non si sentono giudicate, ma circondate da affetto, comprensione e rispetto, senza gerarchie di alcun genere”.

Chi vuole ringraziare? – “Ringrazio te per la pazienza e mi scuso per l’attesa. Gli ultimi vent’anni non esisterebbero senza la collaborazione artistica e umana della danzatrice e coreografa di San Pietroburgo Tanya Khabarova. Il teatro della Comunità è una grande festa, gioia, felicità e voglia di vivere che dura 14 giorni. Nel nostro teatro abbiamo sempre avuto il massimo rispetto e ascolto delle persone cosiddette diversamente abili, crediamo che tutti lo siamo in qualche modo, perché sappiamo fare delle cose ma non sappiamo fare delle altre. Invito tutti a partecipare a un primo incontro previsto d’estate a Civitanova Marche e in inverno a Macerata”.

Eno Santecchia

22 giugno 2022

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti