Il libro “Parole in libertà da F. T. Marinetti – Zang Tumb Tumb – Adrianopoli ottobre 1912”

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“Zang Tumb Tumb”, parole onomatopeiche per descrivere le esplosioni delle bombe durante la battaglia dell’ottobre 1912 per la presa di Adrianopoli, città ottomana attaccata dalla Bulgaria. Un titolo, una essenza poetica, una dimostrazione di come Filippo Tommaso Marinetti intendeva la scrittura futurista.

La casa editrice maceratese Biblohaus, non nuova a iniziative di prestigio in ambito futurista, propone a lettori e studiosi, la copia anastatica del libro di Marinetti, pubblicazione nata dalla collaborazione con la Université Côte d’Azur nell’ambito di un progetto di ricerca intitolato “RAG – Relire les Avant-gardes” (Rileggere le Avanguardie).

Marinetti partecipò alla guerra che si svolgeva sul fronte balcanico come corrispondente di guerra inviato dal giornale parigino “Gil Blas” e assistette in diretta al bombardamento di Adrianopoli. Ne rimase fortemente impressionato e iniziò a redigere in forma di diario ciò a cui assisteva in diretta. Per rendere “futurista” il testo utilizzò la tecnica delle “parole in libertà”, che aveva teorizzato nel “Manifesto tecnico della Letteratura Futurista”, stilato a Milano nel maggio del 1912. “Zang Tumb Tumb” è quindi il primo libro in assoluto di parole in libertà ed è, quindi, l’antesignano della sterminata produzione “parolibera”, concreta, visuale e sperimentale delle avanguardie di tutto il mondo.

È anche il primo esempio, concettuale e pratico, di “libro d’artista” del ‘900, concepito per una diffusione non più elitaria (come avveniva nei libri simbolisti) ma ben più allargata, influente e militante, come scrive Domenico Cammarota dalla cui analisi abbiamo estrapolato parte del testo. Per una migliore comprensione ora vi proponiamo la lettura dell’incipit del “Manifesto Tecnico della Letteratura Futurista” dell’11 maggio 1912: In aeroplano, seduto sul cilindro della benzina, scaldato il ventre dalla testa dell’aviatore, io sentii l’inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero. Bisogno furioso di liberare le parole, traendole fuori dalla prigione del periodo latino! Questo ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi sbuffando! Ecco cosa mi disse l’elica turbinate, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaioli di Milano.

E l’elica soggiunse: 1 – bisogna distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come nascono. 2 – Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all’infinito può, solo, dare il senso della continuità della vita e l’elasticità dell’intuizione che la percepisce. 3 – Si deve abolire l’aggettivo, perché il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale. L’aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è incompatibile con la nostra visione dinamica, perché suppone una sosta, una meditazione. 4 – Si deve abolire l’avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l’una all’altra le parole. L’avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di tono.

E così di seguito… indubbiamente la lettura di “Zang Tumb Tumb” è assai interessante, anche se tutto è opinabile.

Fernando Pallocchini

22 agosto 2022

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