I banchieri ebrei a Montolmo, gente facoltosa che viveva nei magazzini, tra le merci

Print Friendly, PDF & Email

I banchieri ebrei furono chiamati a Montolmo per cercare di risollevare l’economa subito dopo il saccheggio disastroso dello Sforza del 1433, precisamente nel settembre del 1436 quando per la prima volta istituirono nel comune “banchi di prestito”. Nel sanguinoso evento si ricorda la uccisione del medico ebreo Leone.

Nel consiglio Comunale del 20 dicembre 1436 si leggono le “Capitolazioni” concluse con un primo gruppo di israeliti: ne seguiranno altri nel 1437. Comunque la prima notizia relativa alla presenza ebraica a Montolmo risale agli anni 1408-1412, quando gli israeliti vengono tassati assieme a quelli di altre località dello Stato Pontificio per finanziare le truppe di Papa Gregorio XII. I rapporti tra ebrei e montolmesi non dovevano essere stati dei migliori considerando che nel 1466 fu proibito loro di vendere “qualsivoglia commestibile” ai cristiani e nel 1494 di attingere acqua dalla cisterna comunale. La situazione peggiorò tant’è che nel 1536 fu proibito agli israeliti di far prestito ai cittadini: pertanto gli ebrei incominciarono ad abbandonare pian piano il comune già prima della Bolla Hebraeorum gens di Pio V del 1569 in cui si espellevano tutti gli israeliti residenti nello Stato Pontificio a eccezione per quelli dimoranti nei ghetti di Roma e Ancona.

Bisogna considerare che è molto difficile trovare due ghetti simili: “ognuno fa storia a sé, con la sua economia e i suoi mestieri”. Pertanto la storia degli ebrei italiani rischia di essere una “storia  al plurale”, che conduce a parlare di “ebraismi italiani”, inseriti in quella più complessa avventura umana che lega la storia locale alla più grande storia europea. L’istituzione del ghetto a Montolmo risale all’ottobre del 1555: nel 1558 l’ebreo Michele Dattolo chiede di risiedere fuori del ponte del ghetto, ponte che è ancora visibile da via Mollari e che deve essere stato l’accesso al ghetto, in via Costanzi, conosciuta come la “Gabba de Napoli”. Nel 1530 venne concessa a Manuello di Simone chiamato anche Manuele o Manuellino e ai membri della sua famiglia e soci, l’apertura di un banco. Essi potevano prestare, oltre che a Montolmo, anche a Montelparo, San Ginesio e ad alcuni altri comuni del circondario. L’anno seguente Ventura di Simone ottenne un “privilegio” simile sempre per Montolmo e altri luoghi delle Marche, “privilegio” che venne prorogato negli anni successivi. Lo stesso Ventura rappresentò le comunità delle Marche presso la Curia a Roma. Risulta che nel 1539 fu  perdonato da papa Paolo III per aver fornicato con Fiora, figlia di Davide da Montemilone, suo nipote.

Riguardo alle ricorrenti accuse di incesto e fornicazione, esse erano uno stereotipo comune contro gli ebrei, accuse sollevate molto spesso solo per estorcere denaro: inoltre la stessa frequenza del reato è prova dei sospetti più che fondati della loro falsità. Nel ‘500 fra i banchieri di San Ginesio nominati nelle carte romane e che facevano parte della rete bancaria creata dai correligionari delle Marche, viene citato nuovamente Manuele di Simone da Monte dell’Olmo insieme con altri banchieri ebrei tra cui un certo Moyse di Aleuccio dall’Aquila, medico, con i figli Leone e Lazzaro. Va notato che si trovano spesso medici ebrei che esercitavano anche la professione di banchieri. Nel 1548 Ventura e Salomone da Montolmo furono fra i beneficiari di un perdono generale concesso ai banchieri nelle Marche per aver infranto le regole del prestito stabilite per i banchi ebrei.

Nel 1550 il comune di Montolmo dovette restituire a Manuellino 700 fiorini contraendo un prestito in Ancona, presumibilmente da altro banco ebreo, a un tasso del 17 per cento. Manuellino era un banchiere di enorme ricchezza con un capitale stimato in circa 15.000 ducati: giunto nel 1541 a Macerata, si narra poverissimo, in breve tempo mise su una fortuna. Evidentemente il cambio di piazza aveva giovato ai suoi affari. Nel 1551 Manuellino è al centro di una controversia giuridica con certo Cicco di Vanni da Monte Granaro a cui aveva prestato denaro in associazione con Gioacchino di Isaia sempre da Monte Granaro. Non era la prima volta che Cicco contestava prestiti ad ebrei e anche questa volta accusò Manuellino di usura. In primo grado gli andò male finendo addirittura in carcere per debiti ma in appello la sua richiesta di presentazioni dei libri contabili del prestatore, che rifiutò l’esibizione, gli fece ottenere il ribaltamento della sentenza con condanna degli ebrei al silenzio e alle spese legali come molestatori. La sentenza non condanna l’usura che non era stata accertata, ma come detto la mancata esibizione dei libri contabili.

La forza dei “Libri Rationum” poteva essere oggetto di contestazione anche quando gli ebrei avevano una licenza per il banco e pertanto questi libri avevano valore di scrittura pubblica: a volte gli ebrei facevano redigere le scritture contabili a notai cristiani per limitare le accuse della non corretta stesura, disonestà o semplicemente per evitare contestazioni per la sovente redazione in lingua ebraica.

Manuellino, in forte ascesa sociale, spostò i suoi interessi ad Ancona tentando di sposare in seconde nozze (la prima moglie Anna era deceduta) Sara, la rampolla di Yacob Belcayro, un ricchissimo banchiere. Il fidanzamento del 1555 fu rotto dalla famiglia della ragazza innestando una lunga controversia giuridica dove il Montolmo ebbe la peggio. Come detto questo era il secondo matrimonio di Manuellino poiché sua figlia Bellotia (Belloccia) si era sposata nel 1548 a Perugia, data in cui la prima moglie Anna era ancora in vita. Manuellino pensò di risposarsi cercando di elevare ulteriormente la sua posizione economica e sociale. I Belcayro erano una famiglia molto ricca e potente, attiva a livello europeo: il padre della sposa era l’uomo di fiducia di Francisco Barboso, probabilmente il più importante banchiere portoghese presente ad Ancona.

Barboso era un eminente medico che fin dall’agosto del 1549 aveva avuto la licenza di aprire un banco: era un “marrano portoghese” e nel 1555 finì nella persecuzione messa in moto da Paolo IV. Riuscì grazie alla sua fama e al suo denaro a ottenere la grazia e quindi fuggire a Salonicco.

Montolmo era diventata già da tempo troppo stretta per i progetti di Manuellino che intorno al 1557 aveva addirittura finanziato la Sinagoga di Macerata, operazione che può essere vista come un chiaro atto di mecenatismo a scopo pubblicitario. Infatti Manuellino nel 1559 sempre a Macerata, nelle varie tasse imposte agli ebrei e da ripartire tra tutta la comunità, risulta essere uno dei due contribuenti di categoria superiore. Egli contribuì come detto alla costruzione della Sinagoga  con 4.000 ducati, edificio che venne distrutto pochi anni dopo in un pogrom.

La vicenda del “fidanzamento” si innestò nel drammatico contesto della persecuzione dei marrani (false conversioni al cattolicesimo) di Ancona e dell’istituzione dei ghetti, in un repentino cambiamento di strategie economiche e sociali. La persecuzione di Ancona infatti fu attuata anche con il sequestro di tutti i beni degli ebrei inquisiti: il porto rischiò di paralizzarsi poiché le merci in arrivo venivano spesso sequestrate per constatare che non fossero destinate a prestanomi degli inquisiti, con la conseguenza che le merci incominciarono a spostarsi verso altre destinazioni. I creditori dei “marrani” non venivano pagati e questo provocò gravissime ripercussioni sull’economia, non solo di Ancona e della Marca, ma anche fuori regione e all’estero, visto l’intreccio dei rapporti economici in essere degli inquisiti. Ci furono iniziative a favore dei “marrani” da parte del Duca di Urbino e di Ferrara, della Repubblica di Venezia e di Cosimo dei Medici: il Gran Turco aveva addirittura inviato ad Ancona un suo ambasciatore. La posizione del Papa fu tuttavia irremovibile e la persecuzione si concluse con la messa al rogo di circa 25 ebrei.

Va ricordato che uno dei “marrani portoghesi” inquisito abitava a Montolmo: si tratta di “Abram Ingesta banchiere” che probabilmente era riuscito a fuggire prima dell’irruzione nella sua casa poiché il notaio nella relazione lo dichiara contumace invitandolo a comparire. Il notaio addirittura aveva mandato un messo a Macerata, forse in un’altra abitazione dell’Ingesta, a recuperare la chiave della dimora di Montolmo (chissà perché non ha sfondato la porta). Molto interessante l’elenco dei beni trovati che il funzionario ha stilato il 27 agosto 1555 alla presenza del Podestà del comune Sarafino Serafini e di Julio de Nobili da Lucca. Pochi denari, solo 6 fiorini e 23 baiocchi ma molta merce come 13 “broche d’oglio”, molti tipi di pelli e beni personali, un letto, materasso, lenzuola, coperte, fino a un archibugio, una spada e un liuto. Ingenti “le robbe pretiose…che sono pegni de bancho renovate”, che comprendevano gioielli vari, vestiti, biancheria, suppellettili, coroncine di vari materiali preziosi, fino a bottoni dorati o in argento. Non mancano tra i documenti sequestrati, diversi certificati di prestiti relativi a: “Gio. de Stefano de Monte de Olmo” fiorini 9; “Batista de Piermartire de Monte de Olmo” fiorini 24; “Piroto de Santo Giusto” fiorini 4 e 4 bolognini per pegni; “Mastro Soldano de ser Mariotto da Monte de Olmo” 2 fiorini e 26 bolognini; “Ciccotto de Natale da Monte de Olmo” fiorini 22 e mezzo.

Non ci sono spese di alloggi del notaio e si presume quindi che sia stato ospitato in qualche edificio pubblico di Montolmo. Il funzionario allega inoltre l’elenco delle spese sostenute per il viaggio e per effettuare il sequestro, spese ammontanti a 4 fiorini e 66 bolognini e mezzo. Spende 1 fiorino e 8 bolognini per 6 pasti presso l’osteria (forse tre giorni di permanenza), e 2 fiorini per i pasti del notaio curiale ser Hippolito e del commissario Federico Mariotti. Il trombettiere che aveva urlato il bando costò 3 bolognini mentre 4 bolognini il cavaliere che fece inutilmente le ricerche di Ingesta. La relazione del notaio ci presenta un interessante spaccato della casa di un banchiere ebreo del ‘500, dove lo spazio abitativo sembra ricavato in mezzo alle merci dei magazzini: dalle relazioni dei funzionari sui sequestri degli altri “marrani”, non solo banchieri, risulta come solo i più ricchi avessero stanze distinte per la cucina e la camera da letto, gli altri, anche se in maniera a volte agiata per la media della popolazione, vivevano circondati dai prodotti della loro attività lavorativa.

Concludendo, quasi stupisce l’importanza dei banchieri ebrei di Montolmo e come il ricordo della loro presenza nel comune si sia completamente perso, cosa del resto avvenuta quasi ovunque se non dove la memoria è stata rinfocolata dalla stessa comunità ebraica. Infine va ricordato che Samuele Schaerf nel suo libro del 1925 “I cognomi degli ebrei in Italia”, elenca Montolmo come cognome ebraico: con l’introduzione delle “Leggi Razziali” del 1938 il suo elenco verrà sfruttato come strumento di discriminazione.

Modestino Cacciurri

28 marzo 2023

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti