Una disavventura con lo “sbarco”, un metodo di caccia con la rete vietatissimo

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In questi giorni fa molto freddo e in parecchi paesi dell’entroterra c’è anche la neve. Mi torna in mente quando un po’ per cacciare, un po’ per fame, alcuni miei concittadini andavano a far caccia di frodo per catturare gli uccelli che si riparavano dal freddo infilandosi dentro i pagliai. La battuta di caccia veniva fatta almeno da un gruppetto tre persone. Due tenevano una grande rete per uccellagione, legata su due alte pertiche e un terzo provvedeva a far scappare gli uccelli. In pratica si creava una barriera quasi a semicerchio attorno al pagliaio e battendo sul lato opposto si facevano volare via gli uccelli i quali, ahimè, battevano contro la rete e restavano intrappolati.

Era una operazione proibitissima ma  praticata da un bel po’ di gente. Non vorrei sbagliare ma questo tipo di cattura era chiamata lo “sbarco”. E ora vi racconto una storia vera capitata a un calzolaio de lu Vorgu: tal Peppe de Pallotta, grande bestemmiatore. Un ciabattino, nato verso la fine del 1800 e morto dopo il 1960, noto in quanto per bestemmiare usava un “moltiplicatore” che  aumentava, in maniera satanica, la potenza blasfema delle sue offese contro il Cielo.

Ebbene, in una giornata di neve, col buio, Peppe approfittando dell’oscurità andò anche lui a fare la cattura con lo sbarco ma, vuoi per l’inesperienza, vuoi per la sfortuna, i tre compari non riuscivano a catturare gli uccelli infreddoliti. Dopo aver battuto diversi pagliai e fatto molti sforzi, un povero passero finì intrappolato nella rete e Peppe, furibondo per il magrissimo bottino, strinse l’uccelletto nel palmo della mano e iniziò a bestemmiare come sapeva ben fare. “Porc… sò pigliato a te solu, cellu, ma ammò te stacco la testa!” Detto questo andò a sferrare una cattiva “muccicata” alla testa del volatile che, però, si raggomitolò per non farsi decapitare.

Peppe, vuoi per il buio, vuoi per il freddo che gli aveva intorpidito le mani, scambiò il suo pollice per la testa del passero e si diede un morso rabbioso, tanto forte da sbragare tutta la pelle del suo pollicione. Il dolore fu lancinante e gli fece aprire la mano. L’uccelletto gli scappò via e per l’aia volarono peccati a milioni. Le bestemmie, però, pur moltiplicate non gli giovarono per fermare l’emorragia e buttata via la rete per la caccia, dovette correre all’ospedale per farsi ricucire la pelle della mano. L’infermiere che lo curò, o un suo compare di caccia, parlò e raccontò l’episodio che subito fece parte delle storie buffe che si narravano nelle cantine (osterie) dove la cittadinanza tracannava vino nelle fredde serate d’inverno.

Alberto Maria Marziali

11 aprile 2023

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