C’era una volta il fotografo… si sviluppa la tecnica, cambiano società e professione

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Era un una questione che mi ponevo da almeno due decenni e ora, dopo alcune letture e confronti in ambito fotografico, mi appresto a fare un breve excursus, in termini semplici, su com’è cambiata questa professione dagli anni Cinquanta a oggi. Esaminiamo due aspetti: quello culturale/professionale e quello economico.

I cambiamenti sociali erano già in atto quando i primi segnali, poco invisibili, apparvero verso la fine degli anni Novanta del Novecento poi, con il digitale, nel Duemila il cambiamento ebbe una accelerazione o una involuzione, a seconda dei punti di vista. Prima i lettori e gli editori facevano parte di un mondo sensibile all’immagine. In redazione si facevano riunioni fino alle tre di notte per definire i contenuti e ciò che poteva comunicare ogni singola immagine in funzione dell’articolo a cui era abbinata. Alle riunioni era presente anche il cosiddetto proto, il responsabile della tipografia: aveva conoscenza, gusto e seguiva tutto. Lui stabiliva se occorreva una foto orizzontale o verticale, al limite si cercava di ridurla e non metterla a cavallo di due pagine.

Si trovava una situazione gradevole rispetto al testo. C’era l’interesse di produrre un servizio fatto bene, incisivo e che avesse attirato l’attenzione dei lettori. I lettori all’epoca non erano solo sensibili, ma conservavano le riviste collezionandole. Fino al 2 gennaio 1954, in Italia, esistevano solo la radio e i giornali: l’immagine regnava sovrana. Era il periodo di Life, Epoca, “Il Mondo” di Pannunzio, Gente. Il lettore aveva affinato il gusto di scoprire il mondo tramite le immagini. Anche il fotografo lavorava sul servizio in modo impegnativo, si documentava e studiava. Più apprendeva e più il servizio era innovativo, interessante, particolare e originale. Da parte degli editori, a livello economico, c’era rispetto e sensibilità nei confronti dei fotografi e del loro lavoro. In quel contesto si vendevano molti quotidiani e riviste, anche di associazioni varie e Istituzioni pubbliche. Allora chi faceva il fotografo era un professionista o un appassionato evoluto che veniva pagato. Da parte degli editori c’era grande richiesta: assorbivano tutta l’offerta. La qualità delle fotografie era pertanto altissima.

Cambiata la società, sono cambiati gli strumenti. A un certo punto i lettori sono diventati più distratti e superficiali, anche per la televisione e perché viaggiano di più. Esempio: con il raggiungimento di un certo benessere le persone prendevano il treno e andavano visitare una città, quindi cadeva la necessità di viaggiare mediante le riviste. Il fatto che la televisione fornisca immagini e notizie immediate, brucia la necessità di leggere o vedere notizie il giorno dopo su un quotidiano, peggio ancora su una rivista mensile. Mentre prima la fotocamera si riceveva in regalo alla prima comunione, oggi tutti la possiedono, basta pensare al boom delle reflex e delle ottiche negli anni Ottanta. Cominciarono a circolare tante di quelle foto che arrivavano a iosa alle redazioni dei giornali. Tantissimi fotoamatori e fotografi sono cresciuti nei “Foto Club” che hanno organizzato mostre, fatto stampare pubblicazioni, facendo circolare molte foto di qualità. Gli editori iniziarono a pescare in questo bacino. Ciò ha dato un po’ di risveglio all’editoria, ma i fotoamatori evoluti e fotografi professionisti sono stati ridimensionati.

Nel 2007 chiuse l’edizione cartacea della prestigiosa rivista Life, la crisi investì altre riviste legate alla fotografia, le vendite dei giornali diminuirono. Siamo giunti al terzo passaggio: l’era del digitale. Tutti fotografano con i cellulari, spesso senza neanche curarsi della composizione, ci sono i Social Network che fanno circolare gli scatti, viene meno la necessità di foto artistiche e viene a mancare la qualità e il valore artistico delle immagini. A questo punto i lettori sono meno interessati alla qualità delle foto, tutto si consuma velocemente, sia le notizie che le immagini e gli editori non hanno più interesse a fare servizi,  reportage e inchieste impegnativi. Fino al 2007 c’era un tariffario del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti che veniva fondamentalmente accettato e rispettato, comprendeva tutti i tipi di lavoro con i relativi costi. Dopo un Decreto Bersani non fu più rinnovato.

Oggi esistono solo dei tariffari di alcune associazioni di fotografi che danno delle indicazioni. Dopo il 2007 nacque il discorso dell’equo compenso, fu istituita una commissione governativa per la valutazione dell’equo compenso, che ad oggi ha avuto un percorso molto travagliato per la sua stesura e definizione. In questo contesto c’è come una jungla dove la gran parte degli editori non si preoccupa della qualità delle immagini, circolano tante foto di dilettanti e di qualche bravo fotoamatore. È difficile definire i compensi, se non c’è interesse alle buone immagini si è tentati di pagarle poco e non rispettare il lavoro di chi ha scattato.  Fotografi e fotoreporter trovano difficoltà a piazzare i loro lavori e a sopravvivere professionalmente. Inoltre, il gusto per l’immagine singola si sta spostando verso le immagini in movimento. Anche questo modifica le competenze e la figura del fotografo, che deve avere conoscenze nuove sia nel linguaggio che negli strumenti (conoscere il video montaggio). Come ha scritto Giambattista Vico nella “Teoria dei corsi e dei ricorsi storici” dopo una crisi ci sarà una rinascita, ma credo che ora uno spiraglio di speranza ce lo possa dare il ritrovamento del gusto per la bellezza e il foto giornalismo di qualità. Non è dato sapere bene chi ci potrà salvare, ma la bellezza può farlo.

Eno Santecchia

24 aprile 2023

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