Solitudine e meditazione in luoghi impervi del maceratese: l’eremo di Soffiano

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Nel territorio sarnanese, poco lontano dal Santuario di San Liberato, c’è l’eremo di Soffiano che risponde perfettamente alle necessità di chi vuol essere eremita: luogo isolato in mezzo alla natura, circondato da boschi e sovrastato da montagne, raggiungibile per un impervio viottolo, con acque che zampillano dalle rocce. Sì, qui si può pregare e meditare distaccati dai clamori del mondo.

 

Il bosco e le montane

Il percorso – Oggi tutti possono raggiungere l’eremo: c’è una strada imbrecciata transitabile in auto per lungo tratto con tanto di parcheggio finale, il viottolo è facilmente percorribile in una ventina di minuti, gli zampilli di acqua fresca e salutare sono sempre lì, pronti a dissetare mentre accompagnano il viandante il mormorio del Rio Terro che scorre nella gola sottostante e il fruscio del fogliame accarezzato dal vento.

La strada imbrecciata

Il luogo – La passeggiata termina di fronte alla grotta, alta e che si addentra poco profonda nella roccia del monte Ragnolo; dirimpetto si eleva la vetta di Pizzo Meta. Della struttura originaria è rimasto ben poco, ancora visibile perché delle scarse vestigia è stato fatto un restauro conservativo. La roccia della grotta in pratica costituiva una parete naturale, i muri erano appoggiati a essa in modo da creare piccole stanze. La parte superiore della grotta costituiva il tetto mentre le pavimentazioni poggiavano su travi di legno infilate in buche quadrate, che ancora si possono vedere nel muro rimasto.

Il viottolo impervio

I francescani – Quando venne fondato l’Eremo di Soffiano? Qualcosa doveva esserci quando, nell’anno 1101, i figli del conte Ismidione donarono quel territorio al prete Alberto il quale destinò la grotta a luogo di preghiera erigendovi una cappella. Notizie danno per certo che qui giunsero e abitarono frati francescani. Infatti in un episodio de “I Fioretti” è scritto che nell’Eremo vivevano due frati: Il Beato Umile e il Beato Pacifico; quest’ultimo raccontò di aver visto l’anima del suo compagno levarsi in volo nel momento della morte. Date queste presenze probabilmente anche San Francesco è possibile che abbia fatto sosta qui lungo il suo cammino.

Zampilli di acqua

Il Beato Liberato – Come testimonianza ulteriore della presenza di eremiti c’è che nei pressi della grotta sono stati rinvenuti i resti del Beato Liberato da Loro Piceno, un religioso di nobili origini della famiglia dei Brunforte che nell’Eremo si ritirò in preghiera, tanto che il vicino Santuario, con annesso convento, è a lui intitolato.

Piccoli spazi

L’eremita e la capretta – C’è anche una leggenda riguardo la frequentazione dell’eremo da parte di un eremita, del quale non si conosce il nome, che qui visse in compagnia solamente di una capretta; una leggenda che è stata rinvigorita dalla scoperta avvenuta, durante recenti scavi, di una ennesima tomba contenente resti umani sepolti vicino allo scheletro di un animale.

Vista da sopra

La origine del nome – Un piccolo altare e una pietra con una croce evocano al visitatore la sacralità di questo remoto spazio. Qual è la origine del nome “Soffiano”? Ci sono diverse ipotesi. Forse Soffiano rimanda a “Sub Jano”, cioè “in onore di Giano”, antica divinità italica precristiana. Per i romani Giano era il signore di tutto ciò che inizia, dei passaggi e delle porte: seguendo questo filo etimologico le numerose Valli Jana sui Monti Sibillini, con le loro strette forre, potrebbero chiamarsi così perché costituivano degli attraversamenti, erano le “porte della montagna”. Giano, però, era pure il dio della luce celeste ed è proprio al tema della luce che si rifà un’altra ipotesi, quella dello storico Pagnani secondo cui inizialmente l’eremo di Soffiano era intitolato a San Lorenzo l’illuminatore, utilizzato dai monaci per sostituire i culti pagani della luce. In entrambi i casi il nome Soffiano affonda le sue radici in antichissimi tempi, ricordandoci come quasi tutti i toponimi dei Monti Sibillini siano legati a culti pre-cristiani ben radicati nella cultura locale. Altra ipotesi è che nel toponimo Valle Jana  sia celato il nome di Diana, dea romana identificabile con la dea greca Artemide, patrona della caccia, degli animali selvatici, della foresta, del tiro con l’arco; è anche la dea delle iniziazioni femminili e della luna, protettrice della verginità e della pudicizia. Quando le si vuole chiedere qualcosa a proposito della luna le si offrono focacce tonde invece quando le si vuole chiedere qualcosa a proposito della foresta le si offrono focacce con la forma della testa di un cervo, che è il suo animale sacro. Con l’espandersi del Cristianesimo, le streghe saranno chiamate “Janae”, per il loro rapporto panico con il mondo naturale. E, in effetti, Artemide è molto collegata al Dio Pan, proprio quel Dio la cui caratteristica dello zoccolo di capra ricompare nelle Fate caprine dei Monti Sibillini. Ecco allora che nelle zone montane del territorio maceratese e fermano appare ancora, dopo secoli, la figura mitica ma non troppo della Sibilla.

A cura di Fernando Pallocchini – immagini per gentile concessione di Alberto Monti

L’altare

17 giugno 2023

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