Quando a emigrare erano gli italiani: le accuse che venivano lanciate contro di loro

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Aiutando degli immigrati a imparare la lingua italiana, è facile stabilire un rapporto empatico che consente confidenze sulla fatica dello sradicamento dalla terra d’origine e l’integrazione in una nuova cultura. Questo mi ha fatto pensare, tra l’altro, al sacrificio degli emigrati italiani di poche generazioni fa che hanno contribuito a costruire il nostro benessere d’oggi e che invece abbiamo dimenticato troppo presto: una rimozione collettiva bella e buona, per evitare di guardarci allo specchio e di riconoscerci in quei derelitti che oggi mendicano qui da noi. È un dovere ricordare i sacrifici dei tanti (si parla di 11 milioni di italiani in 100 anni) che, fino agli anni settanta del ‘900, lasciarono in Italia affetti e certezze per andare all’estero a cercare fortuna per sé e famiglia. Risale agli anni ‘50 del Novecento il mio personale ricordo della partenza per l’America (via Genova) di tanti giovani vicini di casa. Indelebile in me la “cerimonia” di saluto coi suoi valori simbolici: il passaggio obbligatorio in cantina per il brindisi augurale, il contributo solidale -quasi un viatico- per le spese di viaggio di chi partiva, l’abbraccio a noi bambini  col commento rituale “quando ci rivedremo, questo bimbo sarà un giovanotto!”. Di fatto molti di loro non tornarono più. Risale al periodo più antico, quello della presunta autarchia fascista, la partenza per la Francia di due fratelli di mia madre. Uno, partito neppure sedicenne coi documenti falsi, si arruolerà nella Legione Straniera Francese e sarà mandato a combattere i ribelli d’Indocina, l’altro tornerà trent’anni dopo, reso invalido dal crollo della volta della miniera in cui lavorava giorno e notte. Meriterebbero l’onore delle armi. Meriterebbero di essere ricordati tutti, perché tutti, anche con le loro rimesse, i risparmi spediti in Italia, hanno creato le condizioni del nostro benessere d’oggi; tutti e non solo i pochi che all’estero hanno fatto successo e hanno tenuto alto il buon nome dell’Italia. Invece in generale furono accompagnati, nella terra d’immigrazione, dal disprezzo e da tutta una serie di pregiudizi, che vorrei ora passare rapidamente in rassegna per ricordarci di come eravamo o, meglio, di come eravamo considerati.

– Siamo stati accusati di vivere da clandestini in terra straniera. Per i migranti italiani negli USA fu coniato addirittura il nomignolo di wop, contrazione di without passport, senza passaporto. Alcuni diventarono clandestini dopo essere stati respinti allo sbarco perché analfabeti…

– Anche continenti come l’Australia (il Queensland in particolare) e l’America hanno percepito negli italiani immigrati una minaccia e un pericolo per la loro civiltà e  supremazia. Pare assurda la sensazione d’invasione per terre così lontane e così vaste e più assurde paiono le motivazioni che, passando per la paura dell’inevitabile incrocio con gli stranieri, sfociavano in pregiudizi esplicitamente razziali: gli italiani sarebbero stati una razza inferiore “scuri anche se non palesemente negri”, perché comunque l’Africa comincerebbe… da qualche parte nella penisola italiana e si cercava patetiche conferme nel culto italiano di Madonne nere come quella di Loreto e la parola d’ordine diventa: “Keep the America white!”, salviamo l’America bianca.

– Gli immigrati italiani sono stati accusati di essere sporchi, di fare baccano perché sempre ubriachi, di vivere accalcati in tuguri, in condizioni igieniche rivoltanti; erano perciò accusati di rovinare il decoro dei luoghi in cui abitavano e di far svalutare i prezzi delle case a loro vicine!

– C’è di peggio: la presenza oltreoceano di mafiosi e di anarchici d’origine italiana, per generalizzazione ingiusta e scorretta (si veda il caso di Sacco e Vanzetti), divenne “Italiani tutti mafiosi… tutti anarchici e terroristi”. Delinquenti più dei nativi ed esportatori di criminalità!

– L’accusa più frequente dei nativi di ogni dove contro gli italiani immigrati era quella di rubare loro il lavoro: meno esigenti, erano manodopera di riserva a basso costo per gli imprenditori.

Questi pregiudizi verso i migranti italiani mi richiamano le analoghe accuse che noi italiani di oggi riserviamo agli attuali immigrati stranieri qui da noi. Non dimentichiamo quanto abbiamo sofferto noi all’estero quando ci vien da disprezzare gli stranieri che “invadono” oggi le nostre contrade, ma che -a ben guardare- hanno le stesse sembianze dei nostri nonni e dei nostri genitori che sono emigrati all’estero e che, spesso, all’estero, hanno dovuto…  mendicare.

Enzo Monsù

7 novembre 2023

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