Con buona pace dei detrattori il professor Giovanni Carnevale passerà alla storia

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Da quando scrivo di architettura e di storia delle Marche, ho sempre trattato con rispetto e sottotono le divergenze fra le tesi avanzate da don Carnevale e le mie. Ora che don Giovanni riposa in pace e non può difendersi di persona dai “nonsanclaudisti”, ritengo sia un mio dovere dire come la penso sulla figura di don Giovanni come storico.

Nel 2016, se ben ricordo, ci fu una riunione dei suoi simpatizzanti a Montegranaro, per festeggiare una delle sue molte primavere. In quell’occasione un poeta e un certo numero di relatori, parlarono delle proprie ricerche sui Franchi, io parlai per ultimo, credo, con poche frasi che ponevano Carnevale insieme e con la stessa importanza dei tre più noti scopritori di civiltà “nascoste” ovvero Leo Wolley, il quale scoprì Ur e la grande civiltà dei Sumeri, Howard Carter che portò alla luce il tesoro della unica tomba inviolata dei faraoni egizi e Heinrich Schliemann, il commerciante d’aringhe che trovò Ilion, tutti e quattro insieme sono un poker d’assi. Carnevale è lo scopritore della Francia Picena e, checché dicano i suoi detrattori, passerà alla storia per questa sua importantissima scoperta ed è per questo suo grande pensiero innovatore che la sua memoria deve essere conservata e spiegata ai giovani, non perché disse che San Claudio somiglia a Germigny des Pres, a prescindere dal fatto che possa o meno essere vero.

Entrare in luoghi bui come fece don Giovanni e vederci uno spiraglio di verità che toglie il fiato, quando tutti pensano il contrario di cosa tu intuisci, non è differente dall’episodio di Galileo che porse il cannocchiale al Porporato perché guardasse la luna. Sappiamo che rifiutò sdegnosamente: oggi tutti conoscono Galileo e nessuno più si ricorda di quel Cardinale. Questo è storia, gli storici nostrani lo sanno, ma continuano a difendere le tesi degli storici dell’M.G.H.

Ho scritto e continuo a ripetere che la grandezza del Salesiano di Capracotta non sta nell’aver messo a San Claudio la cappella palatina, l’importanza del prof. don Giovanni Carnevale è di aver messo al loro posto l’Alto Medioevo e i Carolingi nell’antica Francia, questo è il primato che deve essere sostenuto e difeso, basta con i battibecchi su San Claudio e Germigny, i quadrati, i triangoli e le strisce per terra. Per quanto riguarda le corrispondenze fra i due monumenti, una esaustiva disamina dal punto di vista architettonico richiederebbe un paio di pagine in più, che magari vorrò scrivere più avanti, qui mi limito ai fatti essenziali: il nucleo architettonico di Germigny è una piccola torre centrale quadrata i cui muri d’ambito non arrivano a toccare terra perciò, per la stabilità torsionale dei 4 piedritti che la sostengono, la scelta della base quadrata è inevitabile per bloccare con dei controventi (gli archi a centro oltrepassato) i pilastri ai quattro vertici della base della torre, quanto la stabilizzazione delle pareti laterali con le absidiole. Altrettanto razionalmente scelse la base quadrata l’ingegner Eiffel per la sua torre, senza per questo aver copiato le piramidi. Le fattezze e la tecnica dell’Oratorio sono tipiche della Spagna moresca e questo si spiega con le origini culturali di Teodulfo in Settimania, lontanissimo da Aachen o Corridonia.

Ora badiamo al punto di vista documentale: la nota che i sanclaudisti impugnano basandosi su poche righe di testo, secondo la Treccani, Enciclopedia dell’arte medievale 1955, è riportata nel catalogo degli abati di Benoit redatto nell’anno 900, un secolo dopo la costruzione, perciò di seconda mano. Noi abbiamo la trascrizione di terza mano del 1668 negli “Acta sanctorum” che recita “basilicam miri operis, instar videlicet eius quae Aquis est constructa”. Nel testo l’edificio non è cappella, ma basilica, sostantivo che ha tutt’altro significato. Perciò l’Oratorio quale edificio pubblico non avrebbe la stessa funzione della “cappella palatina” ovvero privata. Dove e per cosa l’amanuense antico veda questa comparazione con una generica Aquis è oggi impossibile saperlo, soprattutto per le grandi aggiunte, modifiche, rifacimenti non originali specie Ottocenteschi.

Tutti gli edifici di culto Cristiani hanno un nome traslato da aspetti funzionali o particolarità strutturali, la Chiesa da Ecclesia, la Basilica dagli edifici pubblici romani, la Cattedrale per il sedile del vescovo, eccetera; nessuna di queste corrisponde a un preciso schema tipologico, fra di esse sono accomunabili solo le funzioni. Perciò solo Frate Indovino può sapere quali analogie voleva indicare chi scrisse o trascrisse la notazione, escluso il fatto che se scrisse Aquis, fra le cento e passa Acquae romane, forse voleva riferirsi proprio al ben noto edificio -ampliato a quei tempi- eretto sulla fonte termale in Val di Chienti citata da Dione Cassio. Senza la fonte, lo ricordo ai distratti, i romani non avrebbero mai dato il nome Acquae a un sito del loro impero e Aquisgrana dovrebbe sloggiare dalla Val di Chienti e dal “Planu de Ara Grani Vocatu” (la piana detta dell’altare del dio Granno, nel sito detto delle Acque di Granno).

La sola cosa certa è che l’amanuense non scrisse Cappella. Questa se la sono trovata in grembo gli storiografi tedeschi, quando decisero di eleggere a monumento carolingio l’unico edificio anteriore al 1400 ancora esistente in Bad Aachen. Quel sito non è l’Aquisgrana dove fu tumulato Carlone, perché nel sottosuolo non si è trovata alcuna sala sepolcrale, contrabbandata come tomba di Carlomagno per due secoli. In quella città hanno cercato, ma non hanno trovato la faglia causale dei terremoti di Aquisgrana dell’801 e 829. Candidamente i geologi di Bad Aachen dicono che la cercheranno ancora da qualche altra parte (come pubblicato su Academia.edu) e se la cercheranno 1000 chilometri più a Sud, forse la troveranno. Nessun documento altomedievale autentico parla di Capellam Palatii, e mi corre l’obbligo di spiegare perché i Tedeschi se la sono dovuta creare nell’Ottocento. Quando i Tedeschi decisero di prendersi la storia della Francia Picena, offerta loro dal Re dello Stato Pontificio, si accordarono con i Francesi che vollero Pipino e i Merovingi mentre loro si presero Carlone e successori. Restavano le Capitali: ai Francesi faceva gioco Saint Denis per sostituire San Ginesio, i Tedeschi avevano solo il villaggio termale romano di Aquis Villa, e lo nobilitarono in Aquisgrana, dopo che il Papa Re aveva fatto bruciare o secretato tutti i documenti piceni con tal nome.

 Purtroppo avevano solo l’edificio del XII secolo (A. Nesselrath dixit). Era certamente l’unico di tono della cittadina, rinomata anche in Francia per altre peculiarità, e siccome i Francesi hanno l’abitudine di tradurre tutti i nomi stranieri, Bad Aachen avrebbe fatto Aix les Bains ma ne avevano già una in casa, per cui la chiamarono Aix la Chapelle, per quell’unico edificio medievale (mica la più logica traduzione in “Aquisgrane” se quello fosse stato davvero il suo nome). Così per il nome francese, i tedeschi furono costretti a inventarsi che il mausoleo fosse invece una cappella cioè la Pfalzkapelle, taroccatura ispirata dal “sanctus amor patriae dat animum”. Investirono una fortuna a rivestire di marmi, nobilitare gli archi, decorare dappertutto con mosaici veneziani ispirati a Ravenna, inventare una cupola in pietra le cui spinte il tamburo non avrebbe sopportato senza le necessarie catene circonferenziali in acciaio e molte altre particolarità.

Oggi siamo nell’anno 2024 ci sono Internet, ci sono i “social”, le notizie circolano velocemente e perciò i dogmi lasciamoli alla fede, che ne è l’unica depositaria lecita. Badiamo alle meraviglie che abbiamo e cerchiamo di conservarle e di farle conoscere, soprattutto per onorare le nostre radici storiche, a prescindere dal fatto che le architetture sono riconosciute dalla Costituzione come “beni culturali”, piccola parola di significato giuridico ed economico grandissimo.     

Medardo Arduino

11 marzo 2024

Questa pubblicata qui sopra è una stampa del 1690 della città di “Achen” (da Wikipedia commons File:Rhein-Strom 0184a Achen.jpg). È la vista a volo d’uccello della città con in evidenza il Duomo e il pinnacolo ligneo sull’ottagono, prima della costruzione della cupola attuale.

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