Come nasce la Francia Picena? dalle ceneri esplose da un vulcano irlandese… mah

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Esistere o non esistere, ovvero insistere o non insistere, questo è il problema ricorrente a quanto pare nelle “novità” presentate dal presidente del Centro Studi Giovanni Carnevale lo scorso venerdì 10 a San Claudio. Il titolo era particolarmente allettante “Come nasce la Francia Picena” e l’occhiello prometteva un incontro-dibattito sull’argomento. Come e perché sia nata una Francia Picena è, a quanto pare, il nodo irrisolto delle tesi del prof Carnevale, a trent’anni dalla presentazione della sua sconvolgente tesi storica. Il luogo d’origine transalpino e la formazione della cultura propria delle genti che si sono chiamate Franchi è stato l’argomento che non mi ha mai visto concorde col professor Carnevale, disaccordo a cui ho sempre accennato nei miei scritti, ciononostante ho sempre riconosciuto al Prof il grandissimo merito della scoperta di questa innovativa visione della storia.

Esaurita la necessaria  premessa, ritengo doveroso proprio per il rispetto ed il ricordo del Professore, commentare le cose udite in quella serata e successivamente ribadite dal Presidente del Centro Studi in una intervista apparsa su Youtube a cura del dott. Giorgio Rapanelli. (https://www.youtube.com/watch?v=r_nWthmxfbM).

All’esordio, il Presidente dopo un richiamo alla concordia e coesione (degli iscritti?) contro i “nemici”, ha iniziato a leggere un brano da Le Guerre di Procopio da Cesarea. Mentre leggeva di fame, stenti ed altre inenarrabili tribolazioni non si sa bene di quali genti, non sapendo in quale modo questo avesse a che fare con la nascita della Francia Picena, pensavo invece al termine “nemici” evocato dal relatore, forse a riguardo dei contestatori delle tesi carnevaliane. Nemici è una parola grossa, soprattutto se trattiamo di un argomento che dovrebbe rientrare nel contesto della “cultura”, dove è sacrosanto che ognuno possa esporre e semmai dibattere le proprie opinioni. Non essendo la disciplina storica una scienza, su questi temi vale solo, alla fin fine, il giudizio dei lettori o degli uditori, trattandosi semplicemente del confronto di opinioni (soprattutto pesandole col supporto dei dati di fatto fisici o di fonti documentali che le accompagnano) valutazione che ciascuno può fare mediante il filtro del proprio orizzonte culturale. Ben differente è l’uso non pertinente delle conoscenze afferenti le discipline scientifiche, (dove nove per nove fa sempre ottantuno) ed il ricorso agli algoritmi della fisica, anche quella meteorologica e climatica, perché tali discipline non si prestano ad interpretazioni di comodo.

Alla lettura di una immaginifica quanto drammatica carestia descritta da Procopio, il presidente ha fatto seguire l’elencazione di un certo numero di eruzioni vulcaniche soprattutto in Irlanda evidenziando il fenomeno delle ceneri proiettate fin nella più alta atmosfera e distribuite dalla rotazione della terra e dalle correnti a getto ad oscurare i cieli europei, una novella Pompei estesa un po’ dappertutto sul continente. Si tratterebbe però di eruzioni segnalate nell’Alto Medioevo, che forse oscurarono per brevi periodi limitati settori di cieli europei, certamente non paragonabili come effetti alle polveri sparate in atmosfera dall’impatto del meteorite che colpì la terra e causò l’estinzione dei dinosauri nel Cretaceo. Quell’evento di una sessantina di milioni d’anni fa causò l’estinzione dell’ottanta per cento delle specie animali, però effetti simili e di grande ampiezza non sono mai stati percepiti e descritti da cronisti dell’Alto Medioevo, anche se alluvioni ed altre calamità indotte da particolari situazioni meteorologiche sono sicuramente avvenute, anche qui da noi e forse ci fu una prevalenza delle calamità dovute più ai sismi che non alle eruzioni vulcaniche.

Non ho potuto seguire le conclusioni dell’ “incontro culturale” (così lo definisce il Presidente) organizzato dal Centro Studi nella “fresca” atmosfera del piano superiore del Palazzo delle Udienze Carolingio col portone aperto al silenzio della notte, per l’irresistibile attrazione di una tazza di caffè bollente al bar di fronte. Mi si è detto, e l’intervista di Rapanelli conferma, che non c’è ancora una spiegazione pronta dopo ben trent’anni di ricerche sul tema, anche se il luogo d’ origine dovrebbe essere il primo argomento per l’analisi della formazione del patrimonio culturale di un popolo. Questa permanente incertezza proprio sulle origini, che non consente di individuare dove e come si sia formata la cultura primigenia di queste genti è il punto debole del comunque importantissimo lavoro del prof Carnevale, che però in questo particolare imperfetto va a braccetto con le altrettanto inconsistenti spiegazioni della storiografia ufficiale sul perché popolazioni non centroitaliane usino il Roman e il Latino come lingua madre. Reputo ovviamente impossibile la spiegazione degli storici germanici che attribuisce a  re Clodoveo l’aver imposto il Latino per editto ai suoi sudditi d’origine e parlata non si sa bene se Olandese, Germanica o Bretone-Aquitanica. Nelle spiegazioni post evento su YouTube il Presidente accenna ad uno spopolamento ed un successivo ripopolamento della “Francia picena” evento certamente possibile, ma sarei portato a ritenere che l’improbabile “desertificazione” della nostra regione, dedotta dall’effetto di una traccia di ceneri vulcaniche in una carota di ghiaccio del Monte Rosa, sia in lieve contrasto con le immutabili leggi della fisica e della sua branca chiamata Climatologia. Il Presidente però dichiara su Youtube che la nostra regione “negli anni dal 536 al 640 era spopolata e desertificata”.

Desertificata: strana situazione per un paese Centro Mediterraneo, anche se il lemma Deserto può avere differenti significati. Ad esempio se leggo “la sala era deserta” non immagino un ambiente con dune sabbiose e cammelli, ma una sala vuota di persone. Lo stesso concetto si può esprimere con “non c’era un’anima viva” che non evoca di certo un ambiente pieno di cadaveri. Chissà mai cosa avrà voluto significare “desertificata” nelle congetture del Presidente Antognozzi. Lo spopolamento di una zona ristretta può essere forse plausibile,  ma la “desertificazione” la vedo in totale contrasto con la fisica e la climatologia, ma non solo, anche con la storiografia, visto che questi sono i secoli della discesa dei Longobardi nello Stivale “sine aliquo obstaculo” come scrive Paolo il diacono.  Questi pastori norreni dai lunghi bastoni, che sono così vicini da lasciare una lapide coi loro nomi a Falerone e dare una principessa in moglie al Carlone, sarebbero scesi proprio nello stesso momento in cui la carota di ghiaccio sul Monte Rosa fornirebbe la prova al Presidente del Centro Studi per dire che la nostra regione era invece un deserto. Non sono un climatologo e neppure un metereologo, ma mi sembra che la situazione di un cielo nero su un freddo deserto e i Longobardi in cammino siano piuttosto conflittuali fra loro: faccio fatica ad immaginare le orde di Alboino che scendono in Ytalia facendosi luce con le fiaccole, dotati senza dubbio di provviste alimentari per anni, indispensabili per invadere un deserto. Tali aspetti storicizzati sono da analizzare insieme con le considerazioni sui moti atmosferici a grande scala, se le tracce di ceneri sono sul Rosa non credo si siano fermate all’Adamello, ma oscurassero anche le Carniche e le Giulie, porta d’ingresso dei Longobardi in Ytalia (sempre se dette ceneri le vogliamo scese ad oscurare e desertificare Le Marche).

Illazioni a parte, è assolutamente vero che grandi calamità naturali abbiano condizionato il comportamento di intere popolazioni, ma non riesco in alcun modo a vedere i fenomeni vulcanici sparsi per il globo nel sesto secolo creare le condizioni per la nascita di una Gens che si autodefinirà Francos o comunque in qual modo -proprio queste genti- si possano mettere in relazione con un fenomeno che, salvo la carota sul Rosa, non ha lasciato alcuna memoria nel territorio detto Piceno. Territorio che padre Otello Gentili, priore di Fiastra, scrive che proprio in quel periodo fosse densamente popolato con ben 425 monasteri benedettini e di conseguenza con i relativi nuclei di agricoltori collegati. (ho trovato tracce per almeno 124 di questi monasteri altomedievali), mentre lo storico seicentesco camerte Camillo Lilii scrive che Alarico passò sul versante tirrenico dello Stivale per andare a Cosenza. Credo che la nascita della Francia Picena, la cui scoperta è l’indubbio merito del prof. don Giovanni Carnevale, sia da ricercare in altre direzioni più credibili. La possiamo leggere ad esempio nelle testimonianze date dalla continuità culturale di evidente origine centroitaliana manifestata dai Franchi dal loro apparire fino alla pace di Fontenoy. Tale cultura esiste sin da quando si inizia  a parlare di Franchi sul palcoscenico della Storia, come scrive Sidonio Apollinare, ovvero almeno tre o quattro secoli prima della fantomatica nube nera desertificatrice. Insieme con Le Guerre dell’immaginifico Procopio io avrei preso in considerazione anche l’Historia Francorum di Ademaro da Castel Potenza (alias Adhemar de Chabannes per i Francesi) e la sua spiegazione sull’origine del nome dei dominatori dell’Alto Medioevo Europeo, narrazione forse più pertinente alla questione di stabilire perché la Gens Salica di origine altopicena abbia assunto, dopo lo tsunami di Creta (questo sì che fu un catastrofico evento naturale per il Mediterraneo!) lo storico nome di etimo latino “Francos”, ma questa è tutt’altra storia, perciò aspetto le prossime rivelazioni.

Medardo Arduino

16 maggio 2024

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