Maceratesi dimenticati: Battista Caracini, medico e verseggiatore

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Singolare personaggio il maceratese Battista Caracini, vissuto nella seconda metà del Quattrocento e nei primi anni del Cinquecento. Con ogni probabilità di professione medico, si dilettava nella versificazione in volgare.

 

Le due opere

Testimonianza di ciò sono le sue due opere che abbiamo rintracciato: la traduzione in ottave  di una parte dell’opera del medico medioevale Aldobrandino da Siena e il poema cavalleresco di argomento classico intitolato “Tebano”. La prima opera potrebbe risalire agli anni ’80 del XV secolo, mentre la seconda è stata composta fra il 1498 e il 1503, anno della sua stampa a Venezia.

 

Il “Tebano”

Nei proemi e nei congedi del “Tebano” l’autore menziona spesso fatti di vita personale e molte volte ricorda con nostalgia la città natale. Informa tra l’altro di trovarsi a Ragusa, in Dalmazia e che anche la donna amata è originaria di Macerata. Nel VII canto del poema la descrizione di una fonte  alla quale si dissetano alcuni soldati ricalca fedelmente quella di Fonte Maggiore: il Caracini si dilunga a parlarne per ben 47 versi, elogiando i suoi archi e i suoi marmi e fornendo le misure esatte delle due parti in cui essa è divisa. Il rapporto dell’autore con la città di origine conosce fasi alterne ma è sempre caratterizzato da un sostanziale affetto. Emblematici di questo altalenante atteggiamento sono il proemio e il congedo dell’ultimo canto.

 

Macerata “spelonca di omicidii”

Nel primo il Caracini invoca la Vergine (l’appellativo “misericordiosa” potrebbe rinviare a un altro edificio maceratese, la Basilica della Madonna della Misericordia) affinché liberi Macerata dal peccato. L’autore ricorda anche due apparizioni della Vergine nei pressi della città: la prima un sabato presso la fonte situata a mezzo miglio fuori dall’abitato; la seconda dall’altra parte di esso verso Tolentino. Macerata, priva di giustizia, è detta “spelonca di omicidii”, i giusti e i buoni non ricevono ascolto; la cupidigia di accumulare beni porta i maceratesi a commettere colpe nei confronti del prossimo.

 

Gli elogi alla città natìa

Negli ultimi versi del “Tebano” il Caracini invece la elogia con una lunga serie di aggettivi (magnanima, civile, saggia, fruttuosa, gentile, benigna, graziosa), dice che è una città colma di amore, giustizia e fede, ricorda come in essa risieda il Legato papale e come sia stata fondata sotto l’influsso divino sull’alto colle fra le valli del Chienti e del Potenza. Chiede infine perdono se l’ha nominata in modo offensivo nel corso del poema e giustifica questa sua mancanza di rispetto  con il dolore e l’ira suscitata in lui da un evento che purtroppo è rimasto a noi oscuro. Potrebbe trattarsi della uccisione del fratello perpetrata a tradimento.

 

“Il can traditore”

In un passo del penultimo canto ricorda come il 12 ottobre 1498 si sia oscurato per lui il sole per colpa di un “can traditore” che a Macerata non era neanche fra i cittadini più importanti e, nella lettera dedicatoria del poema allo zio paterno Giovanni, si preoccupa che questi non s’intristisca per la morte del nipote.

Massimo Dentamaro

(Ndr: questo articolo ci è giunto nel 1998 da un collaboratore del “Mattino dell’Alto Adige” di Bolzano)

25 febbraio 2019  

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