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Tratte da “Dicerie popolari marchigiane”

di Claudio Principi

 simenon gioca a briscola 1

La cura sbagliata

Il demone del gioco può avere conseguenze spiacevoli non solo per chi lo pratica e perde ma anche per chi ha, in qualche modo, a che fare con lo sconfitto. A Mogliano, molti anni fa, in un caffè cittadino un medico andava a giocare accanite partite a carte con gli amici. Un giorno una contadina, non avendolo trovato né in ambulatorio né a casa, lo trovò in quel bar mentre era in corso una partita a briscola. Lui era di evidentissimo malumore perché subiva una sconfitta dietro l’altra con i relativi sfottò. La donna disse al medico che suo marito accusava da un par di giorni dolori agli orecchi e che la notte scorsa non aveva potuto dormire per il gran dolore che l’avìa fattu ‘bagghjà’, poròmu (lo aveva fatto abbaiare, pover’uomo). Lei pregò il dottore di visitare il malato perché j’era vinuta ‘na frèi che jjava a ffocu (gli era venuta una febbre che lo incendiava)! Il dottore, preso completamente dal gioco, disse che non c’era bisogno di una visita ma che sarebbe bastato andare a prendere in farmacia certe medicine e “somministrarle” al paziente “ficcandogliele bene dentro”. Scansate le carte scrisse supposte 1la ricetta. Il giorno dopo in ambulatorio la donna si ripresentò al dottore sconvolta: “Médecu mia curri da marìtumu, perché quelle midicine l’ha massagratu: le ‘récchje je s’è gonfiate e je vutta ‘na materia che più vverde non ge n’è! Curri che me sa che la cura tua adè sbajata o marìtumu ci-ha la chjamata pe’ jìssene de là (medico mio corri da mio marito perché quei medicinali lo hanno massacrato: le orecchie gli si sono gonfiate e secernono un pus che più verde non ce n’è! Corri perché mi sa che la cura tua è sbagliata, o mio marito ha la chiamata per andarsene all’aldilà)”. A queste parole il medico rimase prima di stucco, poi s’insospettì e chiese: “Ma tu, dico, quante jé ne sì miste de quelle supposte? (Ma tu, dico, quante gliene hai messe di quelle supposte?)”. Rispose la donna: “Solo due, una pe’ recchja!” (Solo due, una per ciascun orecchio!).

 

 

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