In ricordo di Ugo Caggiano, un artista e un caro amico

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Caro Ugo, sono passati venti anni dal nostro primo incontro e dall’amicizia che si creò, mai interrotta. Nemmeno ora che non sei più con noi, almeno fisicamente, perché la tua anima profusa a piene mani nei tuoi lavori è sempre presente e parla di te, con noi.

Oggi in tanti diranno molto di te, addolorati e con sincerità. Il tuo amico Fernando, invece, rinnova per te il primo articolo che ti dedicò quando esponesti le tue opere a Madonna del Monte, quando fosti uno dei primi artisti a onorare quella collina con la tua presenza e con le tue opere. Era il 2001.

Ugo Caggiano, un artista che colora fisicamente i punti fermi della vita

“La collina di Madonna del Monte, ombreggiata dalla chiesa, dai cipressi, dalla quercia che tanto ha colpito Franco Migliorelli, impreziosita dalla vista del profilo di Macerata in cui si perdeva lo sguardo di Ivi Pannaggi, segnata dalle idrologia di Silvio Craia, dalle primitive incisioni sui marmi di Sandro Piermarini, dai legni di Urbano Riganelli, è divenuta un punto, né di partenza né di arrivo ma di transito. E non solo per le brezze.

Ora arriva Ugo Caggiano. Tutta colpa del padre, autodidatta figurativo con la mania dell’ordine, del rigore, ma anche estroso. Gli piaceva nobilitare gli oggetti, i servizi da tè, le camicie e questo estro lo ha passato al figlio, divenuto per contro disordinato, astratto e fuori dai canoni.

Cresciuto nella Scuola d’Arte di Macerata, erano gli anni ’60, quando insegnavano Vincenzo Monti, Magri Tilli, Nino Ricci, Marone Marcelletti, passa a fare esperienze fotografiche, per cinque anni presso lo studio Ghergo. Qui assimila la scelta delle inquadrature, gioca con le tecniche fotografiche per dare corposità alle sue opere, che non vengono di getto ma sono ragionate: nascono i bozzetti e le successive elaborazioni.

Poi arriva l’esperienza all’Accademia di Belle Arti, sempre a Macerata, con Remo Brindisi ed Eraldo Tomassetti. Del primo non subisce l’influenza artistica, mentre con il professor Tomassetti, che invita Ugo a partecipare alle mostre ricevendone netti rifiuti, ha un rapporto intessuto di affetto. Quando il buon Eraldo riesce a vedere i lavori di Caggiano, in uno studio incasinato da barattoli e colori, osservando le tele disposte intorno esclama: “Tu sei matto. Esci. Muoviti!” facendolo evadere dal guscio.

Con entusiasmo il professore accompagna l’allievo a un concorso di pittura a Montalto Marche dove espone due opere, una in concorso e l’altra fuori. Vince il secondo premio e Tomassetti è il più felice. Il Presidente di Giuria, noto critico, dice a Caggiano: “Perché non hai presentato l’altra opera, quella fuori concorso? Avresti ottenuto il primo premio!”

Non gli è indifferente Paul Klee, dal quale assimila il segno e resta affascinato da Afro, dal dissacrante Burri. Dopo diverse esperienze il suo cammino approda alle incisioni che, anche se nascono da una matrice, non sono riproducibili. E va oltre, fino alle Pietre Miliari.

Mi racconta: “Nel ’45 c’era la fame, quella più nera. Andavamo nei campi a cercare la frutta e, a volte, i contadini ci inseguivano. Quando arrivavamo sulla strada le pietre miliari ci davano forza, coraggio: erano un punto di arrivo, terreno franco dove riposare e raccontarsi storie tra amici”.

Poi i “terminetti” sono rimasti nascosti, fino al giorno in cui, con un fuoristrada, Ugo si ferma sul ciglio di una strada e non riesce a ripartire. Come uscito dai ricordi è un “terminetto” a bloccare l’auto. E, riandando al passato, pensa: “Quante cose ha da raccontare questa pietra…”.

Puntuale arriva il suo segno, arrivano i colori ad animarla: tante favole da raccontare.

Ugo apprezza la solitudine perché lo aiuta in modo straordinario a recuperare ciò che ha dentro. “Oggi – mi dice – la gente invece tende  ad aggregarsi. Nelle discoteche, nella confusione, nella calca. Forse per non pensare…”.

Ripensa invece a cosa scrisse di lui Marino Mercuri durante una Marguttiana: “Gradita sorpresa Ugo Caggiano… un impasto di colori mai traditi”. E Caggiano continua a non tradire quei colori, forti, solari, contrastati, vivaci e vitali. Porta le sue opere nei bar, in mezzo alla gente, affinché non incutano soggezione, ma anche in gallerie titolate, perché il mondo è fatto di tutto. Anche di una antologica a Madonna del Monte. Benvenuto a te Ugo e a quelli che vorranno venire a incontrarti. Parleremo di Arte”.

Ciao caro amico, un abbraccio.

Fernando Pallocchini

27 aprile 2020  

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