Un’esperienza indimenticabile: Barbara Bruzzesi, artista maceratese in Arabia Saudita

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Oggi, per i nostri 24 lettori (quelli del Manzoni erano 25, noi né sopra né alla pari ma sotto…) abbiamo incontrato Barbara Bruzzesi che definiamo subito “Artista”. Non per caso proviene da una famiglia di artisti (mamma Gabriella, il babbo Guido, lo zio Carlo, la nonna addirittura che insegnava l’arte del ricamo) per cui, fin da subito, è vissuta  avendo intorno a sé e in sé “voglia di arte”. Un desiderato obbligo gli studi all’Accademia di Belle Arti, per poi riversare nel mondo del lavoro quanto appreso.

Quali sono state inizialmente le tue esperienze? – “Non ho mai pensato a lavori che non fossero artistici, il che mi ha condotto a molteplici esperienze. Avendo studiato scenografia sono presto stata attratta dal teatro dove mi sono scoperta attrice… forse sarebbe stato il mio futuro… invece no, la vita ha disposto diversamente”.

Un incontro? – “Sì, un incontro importante quello con Andrea, anche lui scenografo, raffinato pittore. Insieme abbiamo applicato nel lavoro le nostre esperienze teatrali e scenografiche”.

In che modo? – “Abbiamo iniziato con la decorazione dei locali e da qui passare al restauro il passo è stato breve. Questo ci ha fatto conoscere Luciano Sileoni, al quale abbiamo restaurato un palazzo, che ci ha voluti con sé alla Lube. Una bella e gratificante collaborazione dapprima con pitture sulle cucine e sugli ambienti, poi continuata con la realizzazione per i loro prodotti degli inserti in ceramica interamente fatti da noi, dalla ideazione alla realizzazione pratica”.

Sappiamo che recentemente c’è stata una nuova opportunità, ci racconti? – “Volentieri… Sono sempre rimasta in contatto con una mia amica dell’Accademia, Silvia Fantini, che si occupa di scenografia ma anche della decorazione tessile dei costumi sia per il cinema come per le opere liriche. Lei nel 2020 è stata chiamata a far parte di un progetto cinematografico da sviluppare a Dubai; purtroppo causa Covid tutto rimandato, tutti a casa! Nel 2021 è stato ripreso in Arabia Saudita ma il team di Silvia si era disperso verso altri lavori e non era facile da ricostruire essendo formato da persone di alta specializzazione. Lei ha pensato a me, mi ha contattato proponendomi di lavorare nel cinema. Un impegno che, per me, credevo utopico, inavvicinabile e che ho quindi accettato di buon grado”.

In che è consistito questo lavoro? – “Si tratta di un film in costume e di ambientazione storica e la mia qualifica è stata di Textile Artist Assistant, vale a dire che mi sono occupata della decorazione dei tessuti che si useranno per realizzare i costumi e anche di pitturare direttamente i costumi”.

Come hai trovato questa esperienza? – “In pratica ho scoperto un nuovo mestiere! Ed è stata una esperienza sia umanamente che per lavoro al di sopra delle mie aspettative, pur con le difficoltà dovute al Covid:  controlli continui, tamponi a non finire, ogni giorno lo stesso percorso albergo/lavoro-lavoro/albergo, con in più le limitazioni che l’Arabia ha per noi occidentali”.

Umanamente in che senso? – “Ho lavorato insieme con tutti artigiani bravissimi, vere e proprie eccellenze del mondo artigiano-artistico. C’è stata la volontà di stare bene insieme, senza invidie e prevaricazioni, perché il fine ultimo era che il film andasse bene, che tutto filasse via liscio, motivo per cui l’ego non è esistito ma c’è stato solo il gruppo dove ognuno si fidava dell’esperienza altrui… so che sei brava, mi fido di te!”

Quanto tempo e dove avete lavorato? – “Sono stati sei mesi intensi dentro un tendone nel deserto. Avevamo sì l’aria condizionata ma dava origine a un forte rumore, nei primi tempi siamo stati sommersi anche dal continuo tin/tin/tin dei lattonieri e degli artigiani orafi che stavano realizzando degli oggetti da mille e una notte! Finalmente ci hanno spostato vicino alla costumista, luogo decisamente più tranquillo dove ci siamo sentiti più a… casa. Infatti c’era odore di cucinato, panni stesi… insomma non per caso si chiamava Little Italy!”

In quanti eravate? – “Tanti, un piccolo paese di circa 500 persone di 15 nazionalità diverse, tutte coordinate, tutte di grande professionalità, con le gerarchie rispettate per non generare caos.  Per comunicare e comprendersi usavamo, in qualche modo, la lingua inglese”.

Qualche particolare del tuo lavoro? – “Come ho già detto dipingevamo e un tessuto anonimo diventava un elaboratissimo broccato con cui creare un abito; i costumi più complessi venivano decorati dopo che erano stati cuciti. Ogni attore, ogni controfigura aveva più costumi identici fra loro ma diversi nei particolari. Lo stesso abito per esigenze di scena doveva apparire prima pulito poi sporco oppure insanguinato. Per gli attori protagonisti abbiamo approntato anche sei abiti nelle varie versioni!”

Avete avuto un po’ di tempo libero per rilassarvi? – “In ambiente desertico abbiamo fatto la cura del sole! poi il venerdì in piscina. Certamente l’ambiente desertico è risultato un po’ monotono, appena blandito da una fila di montagne in lontananza e questo ci ha fatto apprezzare i nostri paesaggi marchigiani che, avendoli ogni giorno sotto gli occhi danno quasi assuefazione. Così li apprezzi quando ne sei lontano per lunghi periodi”.

Per mangiare come siete stati trattati? – “Sempre in albergo dove, per venire incontro alle esigenze di tutti, ospitando persone di più nazionalità, quindi di diversi modi di nutrirsi, hanno cercato di preparare dei menù standard abbastanza uniformi che, però, alla lunga stancano. Poi, come accaduto per il paesaggio, ti rendi conto di come di mangia bene in Italia quando manchi da casa per così tanti mesi. Infine, a proposito di cibo, una curiosità… con 500 persone impegnate ogni giorno c’era qualcuno che compiva gli anni, così circolavano in continuo  tante torte di compleanno”.

Siete mai riuscite a sbirciare i protagonisti sul set? – “Abbiamo fatto di più! Siamo state inserite nel cast come comparse, indossando i bellissimi abiti da noi dipinti ed è stata una esperienza affascinante. Così paludate e truccate alla perfezione ci hanno sottoposto a un body scanner a 360°, per poter usare le nostre immagini, prese in questo modo da più angolazioni, al fine d’inserirle nelle scene di massa. Essere presenti sul set ci ha consentito di assistere, come fossimo in prima fila, il ‘divo’ recitare dal vivo”.

Come eri vestita? – “Ho rappresentato la figura di una aristocratica dentro il palazzo imperiale, completamente trasformata dall’indossare un abito favoloso dei nostri”.

C’erano stuntman nel cast? – “Certamente, li abbiamo visti al lavoro, sotto il sole, il corpo pieno di lividi e di bruciature solari: le scene più pericolose sono tutte loro. Alcuni di essi sono specializzati in scene particolari, una ragazza francese lo era con i cavalli, altri abilissimi con le armi, altri ancora impressionanti con cadute impossibili”.

Il ritorno a casa come è stato? – “Emozionante. Nonostante il lavoro mi piacesse e fosse gratificante, non vedevo l’ora di tornare a Treia, tra le pareti domestiche, ritrovare i miei affetti. Poi lasciare quei luoghi dove non ci sono stagioni, dove la monotonia è data dall’essere circondati dalla sabbia, tutta uniforme e dal colore rossiccio. Ritrovare i colori della nostra terra è stato bellissimo. Infine passare sei mesi senza televisione, senza parlare di Covid, mi ha fatto capire come in Italia siete… ossessionati e sotto pressione!”

Fernando Pallocchini

30 marzo 2022

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