Paracadutismo e battaglie navali, Sergio Pelliccioni maceratese emigrato a Torino

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Alcune significative esperienze di un ottuagenario marchigiano, emigrato in Piemonte negli anni Sessanta, ci fanno conoscere qualche altro scorcio del Novecento.

Maceratese delle “Fòsse” – Sergio Pelliccioni, torinese d’adozione, viveva con la famiglia in via San Michele (le Fòsse) a Macerata. Figlio di un calzolaio e di una sarta, all’età di dieci anni fu avviato a fare l’apprendista falegname, con il salario di cento lire la settimana. Con lui lavorava un uomo che aveva svolto il servizio militare in Marina, il quale gli suggerì di costruire un modellino di sommergibile di legno.

Modellini in acqua a Fonte Maggiore – Sergio si mise all’opera e il modellino di colore grigio scuro riuscì bene, lo provò alla fonte Maggiore, nelle vasche dove le donne si recavano a lavare i panni. Nel dopoguerra non c’era grande disponibilità di denaro, un semplice elastico faceva girare l’elica. Pur avendo gli alettoni laterali che gli davano una certa stabilità, affondava, per qualche carenza idrodinamica. Appena finita la carica anche il modellino del suo coetaneo Franco affondava. Entrambi di legno pieno con una differenza tra i due: il suo risaliva con la poppa e l’altro con la prua.

Paracadutista dopo dura selezione – Cresciuto, Sergio mise da parte il modellismo; fu chiamato al servizio militare nel 1957, in fanteria al CAR di Falconara Marittima. Un giorno in caserma fu resa nota una interpellanza volontaria per il transito nei paracadutisti. Si offrirono in seicento, ne selezionarono solo duecento. Con l’arrivo degli istruttori paracadutisti, la dura selezione continuò: ne restarono solo 24; poi a Bologna scartarono un altro giovane, che restò profondamente deluso. Arrivarono a Viterbo in 23 per le prove in palestra: corsa, salto in alto, fune, pertica e lancio dal telone da 4, 8 e 12 metri, e dalla torre imbragato come con il paracadute. In queste ultime due prove, appena ricevuto il via, bisognava lanciarsi senza esitazioni. In quel fine settimana i ragazzi approfittarono della mensa, migliore di quella della caserma di provenienza e si rimpinzarono fin dalla prima colazione. Alla prova del lancio dalla torre un giovane ebbe timore e si ritirò. Alla fine restarono solo tre giovani che furono ammessi al corso di due mesi e che, poi, superarono l’ammissione al lancio. Per Sergio fu una gran soddisfazione essere rientrato tra i pochissimi selezionati.

Il primo lancio – Il primo lancio fu compiuto dal cielo del Viterbese, a bordo di un trimotore Savoia-Marchetti S. M. 82. Sergio ride ricordando che sembrava un trabiccolo; quel velivolo era stato sviluppato negli anni Trenta. Al decollo i quattordici allievi parà dovevano spostarsi verso la cabina dei piloti, altrimenti l’aereo non riusciva a sollevare la coda! Una volta fuori dal portellone dell’aereo, prima della corretta apertura del paracadute, ebbe una comprensibile ansia, poi scese dolcemente, godendo del panorama. La sensazione di volare fu stupenda; nei lanci successivi Sergio non ebbe più neanche il timore all’inizio del primo lancio. Dopo i primi tre lanci ottennero il brevetto e furono trasferiti a Pisa, sede di un aeroporto. Esercitazione NATO – L’unica operazione importante alla quale partecipò fu una esercitazione all’estero. Fu tra i primi militari italiani armati a toccare il suolo tedesco, nel secondo dopoguerra. Aveva in dotazione la carabina Winchester col calcio ripiegabile. Stesso fucile corto e leggero che poi useranno gli americani in Vietnam e la versione con calcio di legno fisso sarà in dotazione per lunghi anni anche ai Carabinieri italiani. Erano giunti in aereo in Germania in trasferta per 4 giorni per partecipare delle manovre congiunte della NATO. Si lanciarono e riuscirono a conquistare un ponte contro i tedeschi, come premio ricevettero 12 marchi a testa.

Lavoro in FIAT – Tornato in famiglia a Macerata vi restò un paio d’anni, poi un ex parà, con il quale si era congedato, gli trovò un posto di lavoro a Torino. Così nel novembre del 1961 decise di emigrare per lavorare presso un artigiano falegname. Siccome riceveva il salario da falegname a singhiozzo fece domanda e fu assunto alla Fiat, addetto alla carpenteria pesante sulle linee di montaggio delle auto. Dopo un paio di anni passò alla manutenzione delle casseforti, delle veneziane, delle serrature di scrivanie, porte e altro. Per merito dei turni ebbe più tempo libero, così riprese il modellismo, passione che era rimasta dormiente.

Riprende la passione per il modellismo – Passò ai modellini statici: due navi scuola Amerigo Vespucci in scala 1/10, poi il Bounty, quella del famoso ammutinamento, due San Felipe, galeone spagnolo, la Royal Sovereign con 700 sculture che adornano lo scafo fatte a mano con il temperino.

L’incontro con le battaglie navali – Un giorno, passando con il figlio Marco nei pressi della piscina comunale vide affisso un manifesto con la dicitura “Battaglia navale”. Incuriositi si domandarono di cosa si trattasse e nel week end decisero di andar a vedere. Erano modellini di navi della seconda guerra mondiale armate con cannoni, si sparava, se colpite le imbarcazioni si incendiavano e si mettevano a mare le scialuppe di salvataggio. Quel sabato con il passaparola si ritrovavano mille visitatori e la domenica quattromila! Ricorda ancora meravigliato: “Fu un evento bellissimo, stupendo che non vedrà più nessuno!”

L’ingresso nel Navi Model Club e le medaglie – Il gruppo di modellisti navali “Navi Model Club” di Torino era stato fondato anni prima e Sergio vi entrò nel 1977-78. Si trattava di un modellismo dinamico, serio, reale. Il Club aveva circa 60 soci modellisti, la sede principale era a Milano, la succursale a Torino. Ognuno si dedicava a una branca: velieri, navi da guerra, portaerei, navi da battaglia, pescherecci, sommergibili e persino battelli da sbarco per mezzi blindati. Per tanti anni, diversi modellisti divennero campioni del mondo, Sergio fu premiato con quattro medaglie di bronzo: Duisburg nel 1979, Magdeburg (all’epoca nella DDR) nel 1981, Rotterdam nel 1985 (lì il vento rovesciò il veliero facendogli perdere punti) e Schwerin (DDR) nel 1987. In Russia per sparare si portarono la polvere da mine, Sergio sorride dicendomi: “Se l’avessero notata in dogana, saremmo ancora in Siberia”.

Lo stop del Club – Gli eventi si svolgevano sempre su laghi o grandi piscine, mai in acqua di mare perché corrosiva. Quando si recavano alle manifestazioni viaggiavano col pullman e un capace camion; al Club era necessario un budget di base di circa un milione e mezzo di lire per coprire le spese, tra cui il pranzo offerto ai partecipanti. Sebbene lontane, le manifestazioni di massa che si svolsero a Pechino in piazza Tienanmen, dal 15 aprile al 4 giugno 1989, furono fatali per il Club. Vi volevano partecipare ma non poterono andarci e si fermarono. Poi scarseggiarono i fondi, mancò anche il naturale apporto di giovani modellisti: il sodalizio entrò in crisi.

Un vero artista-artigiano – Sergio ha creato tanti modellini dinamici di legno da ammirare in acqua, due sciabecchi (tanto reali che una cannonata avrebbe potuto spezzare gli alberi, che sarebbero caduti), mentre il figlio Marco usava una sua nave pirata. In dodici mesi, nel 2011, lavorando tutti i giorni parecchie ore, Sergio ha creato anche una casa di Barbie: al pianterreno la cucina, un bel salone con poltrone, tavolinetto e un caminetto con il focolare, al primo piano la camera da letto (con baldacchino), il lampadario a gocce e il bagno con la doccia. È stata molto ammirata e ha ricevuto proposte di acquisto. Opera sua anche un gioco degli scacchi di ottone lavorato a mano con la lima che l’ha impegnato per due anni. Poi la carrozza reale di Vittorio Emanuele II, oggi esposta al museo delle Carrozze del Quirinale. In seguito si è dedicato a un presepe meccanico di media grandezza con statuine dinamiche, che è stato esposto dal 2003 al 2008 nella chiesa di Santa Maria Ausiliatrice in corso Regina Margherita a Torino.  

Eno Santecchia (Foto di Cesare Carbonari)

2 luglio 2022

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