Trilussa, pungente cultore dell’antico detto… “Castigat ridendo mores”

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Sopra la porta d’ingresso di antichi teatri troviamo (spesso) inciso “Castigat ridendo mores”. Era un modo semplice e chiaro per definire la finalità e l’uso di quella struttura: qui si ridicolizzano vizi e comportamenti ambigui. L’interesse per il teatro ebbe origine in Grecia e si sviluppò in Italia centrale; la commedia doveva educare il popolo e le risate non dovevano essere carnascialesche, perché tra le varie locuzioni latine era ed è ancora in auge: “risus abundat in ore stultorum” (la risata abbonda sulla bocca degli stupidi). Tutte cose dei secoli passati, quando l’Italia conquistava il mondo conosciuto, imponendo come lingua scritta e parlata il latino e ricordiamo che PICO Prisco fu il primo re dei Latini, come da molto tempo cerchiamo di evidenziare. Oggi lo Stato e anche la Chiesa cercano di mettere all’indice il latino. Dicono che la civiltà e il mondo si evolvono (involvono?). Cesare, Cesare! perché non sei rimasto a Roma con le tue avventure galanti? Hai voluto portare (a piedi!) la civiltà in Inghilterra (popolo barbaro). Avrai anche raccolto un buon bottino ma, ora, per vivere civilmente in Italia è indispensabile conoscere la lingua inglese. Per molti la musica (inglese) ha assunto il titolo di avvenimento culturale. Ora a decine di migliaia assaltano stadi, anfiteatri e terre altrui, per partecipare a “concerti” con urla belluine, sommerse con amplificatori da stordimento acustico. Ma che volete: “è il progresso”!? Troppa fatica esaminare un testo che, sottilmente evidenzia cattive abitudini e verità che si vogliono tenere nascoste. Gli scrittori antichi e moderni hanno quasi sempre preferito elogiare il potente di turno; rarissimi quelli che hanno avuto il coraggio di dire che è il re nudo! Tra chi seguì il “Castigat Ridendo Mores”, posto d’onore a Carlo Alberto Camillo Salustri “Trilussa”: fu più noto che ricco. Nel ventennio non scese apertamente in campo ma ce ne fu per tutti.

Li nummeri – Conterò poco, è vero: / diceva l’Uno ar Zero / ma tu che vali? Gnente: propio gnente. / Sia ne l’azzione come ner pensiero / rimani un coso vôto e inconcrudente. / Io, invece, se me metto a capofila / de cinque zeri tale e quale a te, / lo sai quanto divento? / Centomila. / È questione de nummeri. A un dipresso / è quello che succede ar dittatore / che cresce de potenza e de valore / più so’ li zeri che je vanno appresso.

All’ombra – Mentre me leggo er solito giornale / spaparacchiato all’ombra d’un pajaro / vedo un porco e je dico: “Addio Majale!”. / Vedo un ciucco e je dico “Addio Somaro!”. / Forse ‘ste bestie nun me capiranno / ma provo armeno la soddisfazione / de poté’ di’ le cose come stanno / senza paura de finì in prigione.

La Campana della Chiesa – “Che sôno a fà’?” diceva una Campana – / Da un po’ de tempo in qua, c’è tanta gente / che invece d’entrà’ drento s’allontana. / Anticamente, appena davo un tocco / la Chiesa era già piena; / ma adesso ho voja a fa’ la canoffiena (altalena) / pe’ chiamà li cristiani cór patocco! / Se l’omo che me sente nun me crede / che diavolo dirà Dommineddio? / Dirà ch’ér sôno mio / nun è più bono a risvejà la fede”. – “No, la raggione te la spiego io” / – je disse un angeletto / che stava in pizzo ar tetto – “Nun dipenne da te che nun sei bona, / ma dipenne dall’anima cristiana / che nun se fida più de la Campana / perché conosce quello che la sona…”.

La politica – Ner modo de pensà c’è un gran divario; / mi’ padre è democratico cristiano / e siccome è impiegato ar Vaticano / tutte le sere recita er rosario; / de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano / è socialista rivoluzionario, / io invece sò monarchico, ar contrario / de Ludovico ch’è repubblicano. / Prima de cena liticamo spesso / pe’ via de ’sti principii benedetti: / chi vò qua, chi vò là… Pare un congresso! / Famo l’ira de Dio! Ma appena mamma / Ce dice che so’ cotti li spaghetti / semo tutti d’accordo ner programma.

La Strada mia – La strada è lunga, ma er deppiù l’ho fatto: / so dov’arrivo e nun me pijo pena. / Ciò er core in pace e l’anima serena / der savio che s’ammaschera da matto. / Se me frulla un pensiero che me scoccia / me fermo a beve e chiedo ajuto ar vino: / poi me la canto e seguito er cammino / cor destino in saccoccia.

Nota finale dell’Autore – Trilussa, con questo ultimo sonetto, dichiara di aver anteposto il senso del dovere all’utilità personale. Meriterebbe una lapide a ricordo. Ma gli italiani hanno troppi disturbi auricolari…

Nazzareno Graziosi

6 novembre 2023

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