Incontro con Matteo Ricucci, medico, scrittore e poeta, che ci racconta la sua vita

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Questo lungo periodo di Covid  ha prodotto molti danni ma anche qualcosa di buono. Un ciclista sportivo, trionfante giorni fa, dichiarava che il ciclismo ci ha guadagnato. Tra le cose buone c’è di sicuro una certa rivalutazione dei rapporti   umani,  un’accresciuta attenzione alle amicizie, più tempo per la riflessione. Oggi, quando si dice a una persona “come stai?” la domanda ha maggior valore di qualche tempo fa, quando si passava subito oltre nel discorso e neanche si aspettava la risposta. Si ha più voglia di parlare al telefono con gli amici e ci si informa sul perché e sul per come della loro salute, e su tante altre cose, naturalmente. La rucola ne approfitta per rinverdire i suoi rapporti cominciando da quelli con i suoi collaboratori e sostenitori “storici” che da qualche tempo erano forse meno presenti sulle sue pagine. Tra questi è venuta la voglia d’incontrare Matteo Ricucci, medico e scrittore, che di certo è stato ed è una colonna della rivista. Gli abbiamo telefonato ponendogli delle domande riguardanti lui e il suo lavoro creativo. Trattandosi di un amico non potevamo usare che il  “tu”.

Matteo Ricucci

In questo periodo di relativo isolamento, come passi le tue giornate? – “Ringraziando il Signore e le mie diverse malattie, sono ancora vivo ma non soddisfatto di questi strani accadimenti! Ho riletto le mie opere”.

La rilettura delle tue opere, che sono tante, dopo anni dal loro concepimento, è un esame difficile da superare; per te come è andata? – “Avendo un mucchio crescente di inutile tempo m’è nato il desiderio e la curiosità di rileggere tutti i miei libri: giudizio mio, obbiettivo e meditato di antico e vorace lettore di carta stampata: “discreto”. La curiosità invece di capirne le intime motivazioni che mi hanno spinto a farlo non mi ha ancora spinto a varcare la soglia di un analista!”

Da dove ha avuto origine la tua passione letteraria? – “Ho vissuto la mia infanzia a stretto contatto del mio nonno paterno che era un autentico e spontaneo corifeo degli antichi miti garganici che la mia anima, avida di sogni, celava agli adulti e narrava ai suoi compagni di giochi. Poi arrivarono, come misteriosi messaggeri, le mitiche storie dei “fumetti” in bianco e in nero e anche a colori che ci hanno accompagnati per tutta l’infanzia. I romanzi infine, di ogni tempo e di ogni stile, merce preziosa per un cervello ingordo di nuovi mondi da esplorare e  crearsi così strumenti mentali di ricerca”.

Come si è conciliata questa  passione con i tuoi studi di medicina e con la professione di medico? – “Ho spesso citato nei miei racconti la mia passione per la narrativa marinaresca e per l’Accademia Navale di Livorno che avrei voluto frequentare, sogno svanito per colpa di un’otite da me trascurata. Per consolarmi scelsi di frequentare Medicina nel ‘mitico’ ateneo di Bologna, suggestionato anche dalla figura del nostro medico condotto, uomo di notevole cultura e umanità!”

La passione per il collezionismo artistico e di pregevole antiquariato, che tu coltivi da decenni, è servita a ricostruire storie, e un po’ anche a immaginarne di nuove? – “Sì, è vero, ho sempre amato la pittura di tutte le epoche, che altro non era che storie narrate con i colori, ma che danzavano nei cuori e sulle tavolozze di artisti sognatori!”

Oltre a storie inventate come è nato in te l’interesse per il sociale, per la contemporaneità, in particolare per il fenomeno di una  violenza crescente, a partire dagli anni  ‘60-’70? – “Gli anni ‘60 del secolo scorso ribollivano di passioni politiche di ogni colore e ben presto i giovani si organizzarono in movimenti ideologici contrapposti, armati da potenti persuasori occulti che li indirizzavano a farsi una guerra sotterranea e sanguinosa. Altri giovani osservavano, riflettevano e chi aveva coraggio esprimeva per iscritto il proprio giudizio”.

E la poesia? – “Il mio primo e vero amore! Posso affermare che i miei primi scritti erano canti di gioia di un giovane di fronte a una vita carica di sogni e di speranze da realizzare; poeticamente catturai la prosa per calarmi dal paradiso sulla dura crosta della Terra!”

Scrivere oggi lo consideri un valido strumento per sentirsi vivi e partecipi? – “Ho 90 anni e sono ancora vivo ma solo per ricordare la mia Compagna di una lunga vita d’amore e d’arte perché solo Lei era la mia vera poesia su questo pianeta!”

Al momento del congedo avremmo voluto scambiarci la solita pacca amichevole sulla spalla per superare la commozione del momento, ma forse il Covid si stava già facendo scuro in volto…

Lucio Del Gobbo

21 luglio 2021

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