La saggezza nella campagna maceratese attraverso detti e proverbi sul clima

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Le popolazioni che da millenni sono vissute nel territorio marchigiano, come dimostrato da recenti studi della Università di Camerino, nei secoli se ne sono sempre prese cura in modo formidabile. L’antropizzazione è attualmente datata 700.000 anni fa: lo hanno stabilito, solo per fare qualche esempio, il ritrovamento di selci presso la botte dei Varano a Colfiorito, l’accampamento mesolitico (10/11mila anni fa) di Tolentino (scavi Archeolab) e, in tempi relativamente più recenti risalendo a più di 1000 anni fa, dalla regimentazione dei fiumi nel territorio maceratese, gli attuali Chienti e Fiastra.

Nei millenni si è pertanto consolidata una forte simbiosi tra l’uomo “aborigeno-piceno-maceratese” e il suo territorio di appartenenza, una conoscenza tale da consentirgli l’interpretazione dei segni della natura: dall’osservazione del comportamento degli animali (Quanno li celli vola vassi, se non ci-hai l’ombrella ‘llonga li passi – vale a dire che pioverà se gli uccelli volano bassi), dallo sviluppo della vegetazione, dall’aspetto del cielo (Quanno lampa verso Ancona, pò tardà ma non cojona – vale a dire che quando lampeggia verso Ancona il temporale prima o dopo arriverà), del mare, dei venti, può comprendere l’evoluzione meteorologica, il tempo che farà.

Oggi si direbbe saggezza zen, ma il marchigiano è sempre vissuto secondo natura, immerso in essa per la bellezza e la fertilità del territorio, adattandosi ai suoi cicli. Questa somma di esperienze si è trasmessa oralmente fin dall’antichità più lontana, nel linguaggio oggi chiamato “dialettale” anch’esso di antichissima provenienza, con frasi brevi, di estrema sintesi, per facilitare la memorizzazione e l’utilizzo nella pratica e con, pure, qualche guizzo d’ironia (Chi pòta de Maggio e zappa d’Agosto non raccoglie nè pane nè mosto – vale a dire che chi fa i lavori in campagna in tempi non consoni non raccoglierà né grano né uva).

Citiamo una bella frase di Giovanni Ginobili: “I marchigiani sono istintivamente poeti e alla Musa fanno ricorso anche nelle più tristi contingenze della vita”. Quindi, perché no, poetizzano anche nella trasmissione delle loro acute osservazioni sui fenomeni naturali, specialmente se legati all’attività agricola e dell’allevamento. Eccone due esempi raccolti da Fabio Macedoni e pubblicati sulla sua pagina facebook:

1 – Io so’ settembre che so più cortese,a ricchi e poveri faccio le spese, e je porto uva, fichi e melone, fra l’altri mesi io so’ lu mijjore.

2 – Piove e dà lu sole se marita le cucciole. Piove e dà le stelle se marita le fandelle. Piove e dà la luna se marita la cuccùna. 

Ci sono così state tramandate metafore di vita quotidiana e proverbi di saggezza popolare, espressioni spesso traducibili con difficoltà per non far loro perdere la vivace efficacia. In queste espressioni c’è la vita quotidiana che ruota intorno alla religione, al lavoro, alla famiglia, al modo di essere (Agosto, moglie mia non ti conosco – Gennaro, moje mia te tengo a caro – vale a dire che in agosto c’è molto da fare nei campi mentre in gennaio si sta in casa perché i lavori in campagna sono fermi e fa freddo). Detti del mondo rurale ma anche di quello marinaro, originati dall’esperienza plurisecolare a contatto con la natura, dove le variazioni climatiche condizionavano le attività dei campi, come della pesca, e quindi ogni mese, ogni stagione, ogni luna, ogni festività dedicata a un santo erano ricorrenze da rispettare: ogni cosa a tembu sua. Qui già si avverte il modo di pensare e di comportarsi del maceratese/piceno: metodico, preciso, lento per essere efficace senza errori causati dalla fretta, perché lo sbaglio può significare una anno di stenti, di fame. Con quattro parole, si determina il modo di essere di un popolo.

Il materiale da noi trovato è corposo e copre praticamente tutto il calendario e tutte le sfumature del cielo, ma sicuramente è solo una piccola parte della conoscenza simbiotica che in questi ultimi decenni si sta perdendo troppo rapidamente, a causa della tecnologia che ha fatto e continua a fare passi da gigante. Anche il dialetto subendo continue contaminazioni è in costante evoluzione, si arricchisce di nuove terminologie, neologismi, e si sta addolcendo perdendo così la durezza originaria, pur sopravvivendo nelle sue sfumature caratteristiche e diverse per ogni borgo, lasciando per la via tanti vocaboli, insieme con quegli oggetti di uso quotidiano che non si utilizzano più, perduti insieme con l’uso di una tecnologia minima e primitiva; esempio lampante è il riscaldamento degli ambienti abitati: prima una sola stanza con il camino (Dicembre, avandi me scalla, jetro me ‘ngènne – cioè che la fiamma del fuoco sul camino scalda il corpo davanti ma la stanza rimane fredda e ne soffre la schiena), oggi tutta la casa è calda con vari sistemi.

Sono terminologie perdute come quelle riguardanti le tradizioni millenarie delle festività religiose, che erano una piccola parte delle cerimonie propiziatorie per la fertilità dei campi e la ricchezza dei raccolti. Molta superstizione, ma in parte una verità. Un esempio di rito: i “condràsti”, ossia le correnti d’aria che, nel periodo estivo, minacciano grandine. I campanari suonano le campane, prima a rintocchi, per avvertire i campagnoli dell’arrivo di questi “condràsti”, i contadini a loro volta si danno a fare diversi scongiuri, recitano le laude e diverse preghiere d’occasione. Quando poi la grandine comincia a cadere, i campanari suonano a distesa sia per invocare la clemenza del Signore, sia affinché la corrente d’aria formata dalle vibrazioni dei rintocchi apra le nuvole.

Anche la protezione del Signore era implorata: Dio ce ne scampi de la fanga d’agosto e da la porvere de Jennà (Dio ci faccia scampare dalla pioggia in agosto e dalla siccità in gennaio). Certamente oggi alcuni dei detti non sono più veritieri a causa del cambiamento climatico in atto, come pure altrettanti non sono più tramandati perché ci sono le previsioni del tempo che hanno raggiunto una fedeltà impressionante e non per il giorno successivo ma per tutta una settimana, eppure, leggere i testi che abbiamo usato come fonti per pubblicare la raccolta di detti dialettali sul clima e il tempo, è stato come scorrere la storia di un popolo, è stato un riavvicinamento ai nostri antenati, un vedere con la giusta ottica la loro vita, i loro sforzi per adattarsi ai luoghi, per imparare a convivere con la natura e anche a saperla subire.

Sono opere meravigliose, che tutti dovrebbero leggere e sentirsi un po’ colpevoli, per aver lasciato che i tempi moderni cancellassero questo passato interessante e ricco di valore. Dobbiamo ridare dignità ai nostri antenati, renderci conto che al loro confronto noi siamo dei polli di allevamento: loro avevano il camino, previa faticosa raccolta di legname; noi abbiamo la comoda elettricità: se sparisse la corrente elettrica, sparisse il petrolio, noi non saremmo in grado di fare quasi nulla per sopravvivere. Neanche capire le erbe commestibili.

Introduzione

Per agevolare la lettura dei detti e dei proverbi, in quanto sono assai numerosi, li abbiamo suddivisi per categorie e in ogni categoria c’è una sottodivisione per testi e ricercatori. Al fine di rendere i testi comprensibili, ove possibile, li abbiamo tradotti e, dove ci sono, abbiamo inserito le traduzioni dei ricercatori. Ne troverete di simili, li abbiamo ugualmente inseriti proprio per far notare le piccole differenze che riportano, comunque, a una stessa origine. Data la corposità del materiale raccolto non è possibile inserire tutto in una volta in queste pagine (Ndr: del mensile La rucola), occorrerebbe un numero monotematico, per cui li pubblichiamo a puntate.

I mesi

I seguenti detti e proverbi, riguardanti i mesi, sono il frutto della ricerca di Fabio Macedoni che li ha pubblicati sulla sua pagina facebook.

Febbrà’, curtucciu curtucciu, se ce sse mette, è lu pegghio de tutti (Febbraio, corto corto, se ci s’impegna è il peggiore di tutti i mesi).

Aprile nu bellu tèsse e nu dolce durmire (In genere il mese di Aprile risultava piuttosto piovoso, permettendo così alla donna di stare a casa e tessere).

La luna sittimbrina lu diàulu se la strascìna (La luna settembrina il diavolo se la porta via).

Luna sittimbrina, sembre sette ne trascina; se po’ nasce con sereno, se ne porta dui armeno (Luna settembrina sempre sette -lune- ne trasci-na; se poi nasce col sereno se ne porta due -lune- almeno).

Sarvia, majorana, trosomarino se strapiànda a settembre o ar suo vicino (Salvia, maggiorana e rosmarino si trapiantano a settembre o a ottobre).

Settembre amico, te dona ‘e cciaccarelle e ‘l dolce fico (Settembre amico ti dona nocciole e fichi).

Se piôe li quattro de settembre, piôe fino a tuttu dicembre (Se piove il 4 settembre piove sino a tutto dicembre).

Settembre cortese, pure li spì’ paga le spese (Settembre cortese, anche i rovi pagano le spese, facendo cioè nascere le more).

A la prim’acqua d’agosto more pure le cicà’ (Alla prima pioggia di agosto muoiono anche le cicale). continua

a cura di Simonetta Borgiani e Fernando Pallocchini

Tratto da “Studi maceratesi n° 54” edito da Centro Studi Storici Maceratesi

2 settembre 2022

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