Vecchi ricordi e nuove speculazioni: il grano, prima era il nostro “oro giallo” e oggi?

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E sì. Prima, per secoli, per i nostri nonni contadini il grano è stato veramente “oro giallo” perché era il centro non solo dell’alimentazione ma anche dell’apporto economico per la famiglia. Prima di tutto perché il grano era il frutto di otto mesi di lavoro, quasi continuo, al quale partecipava tutta la famiglia, dai vecchi ai piccoli ognuno secondo le sue possibilità.

Al raccolto la parte del padrone era portata al consorzio agrario o a un mulino, a Macerata il più conosciuto era quello di Vignati a metà di via Pace, la parte del contadino, il 52%, era messa in soffitta e trattata, accuratamente, per evitare l’attacco dei parassiti. Il contadino portava al mulino, ogni volta, la giusta quantità di grano cioè quella che serviva alla famiglia per avere sempre farina fresca. La farina era protagonista del 90% dell’alimentazione  della famiglia. Il pane, fatto ogni settimana per la famiglie numerose e ogni quindici giorni per quelle più piccole, era il re della loro tavola. Inoltre molti dei sei pasti giornalieri fatti durante la mietitura e la trebbiatura, erano a base di pane. Un pomodoro e una fetta di pane, quattro o cinque noci e una fetta di pane, una mezza salsiccia spalmata su una fetta di pane, e ancora una fettina di lonza o di prosciutto sul pane erano “li vuccù” ossia i piccoli pasti che venivano fatti durante il giorno mentre si lavorava e nelle faticose giornate della mietitura e della trebbiatura, dove si aveva bisogno, dato il tipo di lavoro, di mangiare spesso con un pasto che doveva essere leggero e digeribile.

La farina era anche la base di tutti dolci che le nostre vergare preparavano. “Lu ciammellottu” e la crostata erano quelli più abituali che le nonne infornavano, soprattutto per far festa ai bambini ma una bella fetta di ciambellotto “insapata” (inzuppata) in un buon bicchiere di vino, meglio se cotto, era anche un ottimo e apprezzato boccone per gli adulti. In occasione della preparazione del pane si facevano anche le cresce, le nonne della pizza e poi, con un po’ di massa, s’impastavano le frittelle che messe a friggere nell’olio bollente facevano delle bolle che le nostre nonne foravano con la forchetta per evitare che la parte interna restasse non cotta e quindi sgradevole al palato. Visto che subivano tale trattamento venivano chiamate le “cèche” ed erano a noi ragazzi particolarmente gradite perché potevano essere condite, a scelta, sia con lo zucchero o il miele che con il sale, per cui potevano essere gustate dolci o salate.

A carnevale, a Pasqua e a Natale le nostre nonne diventavano Pasticcere, si proprio con la P maiuscola, e si sfidavano a chi realizzava il dolce migliore. Era tradizione, per la Pasqua, vedere le nostre nonne con la tavola sulla testa sulla quale avevano messe le pizze dolci e quelle di formaggio che portavano al forno per farle cuocere e, sia all’andata che al ritorno, il loro era un vero e proprio defilé col quale fare sfoggio di equilibrio e bravura culinaria.

Se l’annata era stata buona e il raccolto era superiore alla necessità della tavola famigliare la parte in più era venduta a gennaio, febbraio o marzo perché in quei mesi, essendo diminuite le scorte di grano sul mercato ma non le richieste, il prezzo aumentava per cui il grano era anche una fonte di guadagno che dava alla famiglia un discreto apporto finanziario. Il grano era “oro giallo”, poi le speculazioni hanno fatto sì che il nostro venisse messo da parte perché quello importato dall’estero costava meno e allora il prezzo d’acquisto di quello prodotto ai nostri contadini era tanto basso che a loro non conveniva più seminarlo e quel “filone d’oro” che era stato il gioiello prezioso che ha sempre supportato i nostri nonni si è esaurito, tanto che oggi la coltivazione del grano si è ridotta al minimo. A me, però, vecchio ultraottantenne, piace ancora ricordare la grande festa che si faceva alla fine della trebbiatura, con la “maccheronata”,  maccheroni conditi con sugo di carne, se il raccolto era andato bene, alla quale partecipava non solo tutta la famiglia ma tutti vicini che erano venuti a dare una mano e quindi quel momento era anche un vivere insieme in amicizia e in allegria, una situazione veramente socializzante. Un caro ricordo che ormai resterà, purtroppo, per sempre tale.

Cesare Angeletti “Cisirino”

2 ottobre 2023

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