Santa Maria di Laverino tra gastronomia, aneddoti, riflessioni e affreschi medievali

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Trattatino sulla bellezza, cultura ed economia… con gli spicci della spesa (finché potremmo usarli; allacciate le cinture).

Ore 15:00 “Già che s(u)òni… hai già rotto li cójoni!” La voce che proviene da dietro la porta è di una donna. Dovrebbe essere anziana. Le sue mani e il suo corpo sono curatissimi. Le unghie linde. La casa sembra provenire da un restauro degli anni 50/70 di un edificio del 1300. Più antico. Quando un benessere legato alla natura, si scontrerà con un benessere legato ad altro. Il camino è acceso, due donne sorridenti stanno facendo compagnia a quella che dovrebbe essere una vecchia che ha le chiavi della chiesetta del paese. È cieca. Come faccia a essere così curata è per me un mistero. Burbera, potrebbe essere il suo nome. Non vedendo, non si fida di alcuno. Riconosce le voci e lei, Arianna, la nostra amica e guida, preoccupatissima per il compito che sentiva di dover prendersi, è stata già da lei con il parroco e vari ricercatori almeno in altre due occasioni. Doveva fare foto alla chiesa (Pieve di Santa Maria XII sec.). È consapevole della difficoltà legata al chiederle le chiavi del tesoro. Per la signora ci sono tesori in quel luogo. Sì, ex voto, affreschi che Lei deve custodire. “A te Andrea Santini, pure se rtórni le chiavi ‘nte le dò!” Il –Già che sòni… hai già rotto li cójoni!– si lega alla frase successiva, questa volta metà in dialetto: “La porta è sempre aperta! Ma già che sòni, sei venuto a rompe li cójoni, perché non sei un amico. Se eri un amico, tutt’al più bussavi e prima della bussata e del girare le chiavi sulla toppa, t’annunciavi”.

La disputa per la ricetta anticaAbbiamo appena mangiato in un circolo cittadino. Tutto buonissimo. Due cose mi sorprendono i fagioli e il dolce. In Anatolia c’è quel tipo di fagiolo. Lì e in Anatolia. Il dolce è una ricetta antichissima una sfoglia invisibile che come una lasagna è tirata a strati. Noci, uvetta, anice, zucchero, cannella; la ricetta è segreta. Anche questo sembra un piatto tipico dei bizantini. A sei chilometri di distanza si ucciderebbero per dire che la ricetta vera è solo la loro. Fuori del circolo insulti su chi si arroga il diritto di dire che la ricetta vera sia la loro. “La mia ricetta è del 1723, la sò trovata su un documento”. – “Non me ne frega un górbu. Adè più bòna la nostra… la più bòna è de Laverino”. Tutti sorridono, sanno che è vero. Primo aneddoto. Tre donne oggi conoscono la ricetta del dolce di Laverino. Una donna centenaria ha consegnato, poco tempo fa, la ricetta a una signora sentendo la morte vicina. L’ha chiamata e le ha detto: “Te devo fà vedé ‘na cosa”. …solo questo: Te devo fà vedé ‘na cosa. Non immaginava cosa le dovesse dire, ma lei va, accorre. “Sta’ llì e guarda!”  …tono imperativo. La centenaria si mette a impastare, fa il dolce e poi dopo due chiacchiere la manda via. Senza aggiungere altro. Nei giorni successivi, non troppo presto, la richiama, la fa accomodare e le fa preparare sotto la sua guida ciò che aveva visto. Nuovamente due chiacchiere e la manda via. Altri giorni trascorrono, la chiama nuovamente e le fa preparare il dolce tutto da sola, sotto il suo sguardo attento. Lo cuociono, assaggiano. “Va bene, devo morì, adesso ce la sai!” Tre donne, più una, ora sanno la ricetta, tre giorni per insegnarla, con metodo e rispetto.

Intorno al paese che sorge dove nasce il fiume Potenza, fra le rocche d’avvistamento, le torri dei Da Varano, una serie di fonti curative. Quella che aggiusta la digestione, quella che scioglie i calcoli renali e della vescica. Gli ex voto provengono dalla fede e dalla natura. Entriamo nella chiesa, minuscola. È satura di affreschi dal 1200 ai primi decenni del 1400. Era un luogo ricco nei primi secoli dell’anno 0. Ritrovamenti archeologici attestano la presenza romana, longobarda, bizantina: “Qui come scavi trovi!”. Alla Rocca Pia di Ascoli Piceno sono esposti i reperti delle tombe di Fiuminata. Non qui. Nessun ulteriore scavo. Il medioevo ha visto i commerci e la ricchezza spostarsi da lì. Una specie di cappa avvolge le Marche, una storia nascosta di faide in cui il potere viene traslato. Solo una famiglia i Da Varano resiste in quel luogo, conservando la memoria delle antiche gesta. Camerino è poco lontano, fino al 1500 sarà uno dei massimi centri per la produzione di carta e paliotti, arredi per gli altari. Il palazzo ducale è un luogo di cultura, di misteri (eleusini), di memoria e bellezza. Abbastanza per intuirne la storia, non abbastanza da resistere alla violenza di chi vuole cancellarla. I Borgia, aiutati dai Medici, uccidono tutti. Il potere trova sempre nuovi modi di ridisegnare i confini del mondo. Stop. È già troppo.

Gli anziani sentenziano e fanno riflettere“Troppe tasse, sémo dissanguati, è pieno de jènte che non vòle lavorà. Je torna de più a stà su lo divano alli stranieri de la manovalanza che non a manovalà. Li jovani adè stati rembicilliti. Ce stanno a tòje tutto”. Loro lo sanno. Lo sentono, lo vedono. Hanno visto il denaro scomparire secoli fa. Le rotte dei commerci da qui sono state spostate in altre regioni. Le famiglie potenti che potevano riportare benessere qui, annientate o convinte a spostarsi altrove: a Roma, in Umbria, in Toscana. O con noi o muori. A un certo punto l’industria della carta sorge nuovamente dalla metà del 900 e dona in un eterno ritorno occupazione a tutti. Le guaite, i luoghi in cui si producono il blu per tingere i panni di lana dalle numerose greggi, le canapine da cui si trae la canapa con cui si faceva tutto… di tutto ciò rimangono solo i toponimi. In un luogo incantato ma senza cultura, le case cambiano. La bellezza del paesaggio non si integra più con un nuovo senso del bello. Ci si accontenta del benessere di stare al caldo in un posto pulito e sicuro. Qui i paesi perdono il loro dialogo con ciò che c’è intorno. La bellezza è fuori ed è potente; bastante. Il problema più grande. La natura qui è forte. Le fonti continuano a donare acque ai boschi; insieme a far respirare e a curare gli uomini. Senza denaro che è il mezzo per attrarre e creare cultura, ci si rifugia nelle tradizioni. La cultura, le opere di ingegneria, i palazzi, le pale d’altare, possono fiorire solo in presenza di commerci. Di quel simbolo che incarna il desiderio di crescere e rispettare qualcosa. Tutto parla agli uomini che ascoltano. Queste popolazioni nulla sanno degli intrighi che vogliono abolire il contante, indebolire e far cessare nascite, sostituire popolazioni e un commercio reale fatto di sogni e opere tangibili, con metaversi. Riversare coscienze reali e trasmissibili tre volte per tre, in gabbie virtuali. Tutti lo sanno. Basta ascoltare. “Vogliono toglierci tutto. Ci stanno riuscendo. Le leggi sono fatte apposta. Non c’ è ‘na legge che sia saggia. Sémo in guerra”. Per me che amo la storia, che amo ascoltare, vedere, tutto è chiaro. Dovrei essere triste per ciò che vedo. Un fiume che sorge imperioso e curativo si sporca appena tocca l’inciviltà venduta come progresso. Ma qui ho raccolto qualcosa di antico, mi sono abbeverato e mi sono curato. Torneremo bere e a nutrirci.

Andrea Santini – foto di Andrea Santini e alcune per gentile concessione di Alberto Monti

26 gennaio 2024

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