I misteri della basilica di Santa Maria a pié di Chienti, sempre più visitata dai turisti

Anche se un confronto fra tesi discordanti potrebbe essere il miglior mezzo per approssimare la verità su un argomento, punto il dito sul dibattito sulle origini e la storia della Basilica di Santa Maria a piè di Chienti che sta rischiando di avviarsi sulle ali della fantasia a detrimento dei significati anche storico culturali del monumento.

Uno sterile e inutile batti e ribatti a distanza sulla pagina internet istituzionale della Basilica (recentemente qualunquizzata in Chiesa) a cui fanno seguito le mie precisazioni in risposta, che finora il direttore de La rucola ha ritenuto utile pubblicare, quando interessano le interpretazioni critiche del monumento espresse sulla menzionata pagina web. Al termine di un dibattito i relatori anglofoni sono usi proporre un “wrap up” e questo vorrei fare ora in estrema sintesi e non pensarci più. Una trentina d’anni fa, il professor don Giovanni Carnevale propose di riportare nel Piceno storico i tre secoli dell’epopea altomedievale dei Franchi. Li fece giungere dall’Aquitania, scacciati dall’avanzata dei Saraceni e rifugiati nella nostra regione a quel tempo disabitata dopo il passaggio di Alarico.

Dalla lettura soprattutto delle testimonianze di cultura materiale mi sono permesso, pur confermando la tesi sostanziale della Francia picena di Carnevale, di proporre una visione differente sulla origine dei dominatori dell’Alto Medioevo, che per me sono i discendenti delle Gentes Salicae che popolavano il Piceno pre-romano, storia cancellata dopo che Egidio Albornoz conquistò per la corona del Papa Re la nostra regione(Cfr. Il Piceno Storia e Cultura. 2024). Don Carnevale concentrò tutta la sua vicenda nella “Cappella Palatina” monumento oggi etichettato Abbazia di San Claudio di Corridonia, che io, fin dalla mia prima pubblicazione sul tema, nel 2013 ho ipotizzato essere invece la sala delle udienze del Palazzo regio e non la sua cappella, perché ho spostato l’identificazione dell’edificio religioso ampliato “a proprie spese” da Carlomagno, nell’attuale Basilica di Santa Maria a piè di Chienti, supportato da cosa scrive Eginardo della Basilica costruita “in quel vico” e cosa canta la Chanson de Roland (Digby 23) in  “Carles serat ad Ais a sa Capele”, sito che nelle pergamene del XI secolo (Lib. Vat. Doc. 950) è indicato come “Basilicam magnam Sancta Dei Genitricis quam vocant capellam karoli”.

Nel mio primo saggio del 2013 dopo circa 5 anni di ricerche proposi la Basilica, che per la “carta Osimana 1151” si sa che “est edificatu nu plano de Ara Grani vocatu.” quale testimone più importante della Francia picena, situata dove sgorgava la fonte sulfurea sacra al dio piceno Granno (da Dione Cassio). La costruzione, dalla singolare planivolumetria, deve essere vista non solo come l’edificio religioso chiamato “la Cappella” nelle fonti, ma anche quale luogo di tumulazione di Carlomagno, in antitesi sia con la storiografia di matrice tedesca sia con il dettaglio marginale della tesi carnevaliana che vuole “tutto a San Claudio”. Al tempo del mio primo saggio la pagina internet della Basilica dell’Annunziata era ristretta alle notazioni istituzionali e agli orari delle messe, e i visitatori del tempio, anche a detta del reverendo parroco don Lauro, erano pochissimi. Dopo più di dieci anni, i visitatori di ogni tipo, dal turista curioso allo studioso competente, provenienti da ogni parte d’Europa, tutti sono colpiti dal fascino che emana dalle “spoglie architetture” del monumento.

Oggi il sito web https://www.santamariapiédichienti.it si è notevolmente arricchito di pagine esplicative alle voci Storia, Architettura, Affreschi, Visita. Mi compiaccio perché, come avrebbe detto il Machiavelli, se il fine giustifica i mezzi, le mie tesi controcorrente a quanto parrebbe hanno stimolato i curatori della pagina web ora molto ricca e dettagliata. Questa nuova veste la ritengo un ottimo risultato, a prescindere da come e con quali intendimenti si sia avviato l’aggiornamento, perché ha comunque una valenza anche turistica. In ragione dell’aumentato interesse, i poteri istituzionali dovrebbero interessarsi con maggior impegno della conservazione dell’integrità del monumento, soprattutto dei delicati affreschi del catino absidale senza trascurare la sua fruibilità anche come bene culturale. La importanza del monumento è innanzitutto come luogo di fede e raccoglimento, ma lo è altrettanto come testimonianza dei trascorsi della comunità Cristiana del luogo e dei “monaci d’oriente” (secondo Camillo Lilii) che sul finire del IV secolo ne fecero un tempio Cristiano.

Non può essere dimenticato l’evidente, elevato, “savoir faire” dei maestri muratori piceni che nell’arco di un millennio, palesemente con risorse limitate, trasformarono il tempio pagano con l’altare di Granno in edificio Cristiano e lo ampliarono. Il suo indubbio valore non necessita, oggi, di velate quanto inutili e sterili polemiche, men che meno di personaggi che mettono mele sulla cattedra. Non credo sia più il caso di insistere su questioni vacue come quella a esempio nella pagina ufficiale della basilica alla voce Architettura. In detta pagina si cita, ma solo per smentirla, la mia ipotesi che la chiesa sia a due piani per preservare l’altare dalle possibili inondazioni, precisando con un inciso fra parentesi estraneo alla frase che parla del piano superiore spiegando “Il motivo di tale costruzione era di garantire la stabilità dell’edificio (e non il pericolo invasivo dell’acqua del fiume che scorre e scorreva anche in passato quattro metri sotto il livello, non presentando, così, alcun pericolo per l’edificio), problema comune alle chiese cluniacensi, troppo ardite in altezza e con il problema delle ricadute verso l’interno.”

Solo per amor di logica mi vien da pensare che, se lo scopo sostanziale del piano superiore era quello di “garantire la stabilità dell’edificio”, perché tale soprelevazione le cui colonne mediane tagliano in due la visuale del pianterreno dov’è l’altare, si arresta più o meno dov’era il nartece del tempio pagano, a un terzo della lunghezza e non continua per tutto l’edificio? È evidente semplicemente guardando in su che i muri laterali superiori all’altezza delle capriate sono incatenati fra loro da tiranti metallici e manifestano evidenti “ricadute?” (meglio “inclinazioni” oppure “fuori piombo”) ma esse sono al contrario di come è scritto, perché “ricadono” verso l’esterno del monumento dove le fondazioni non insistono sul basamento litico caratteristico dei templi romani.

Se la complessa costruzione del piano superiore voltato a crociere è stata fatta solo per irrigidire i fianchi “troppo arditi in altezza”, oltre a non avere esempi borgognoni a cui riferire questa particolarità strutturale, guardacaso la parte maggiore della lunghezza della Basilica non è “irrigidita”, ma sta in piedi da almeno cinque secoli e mezzo nonostante i terremoti, e a far stare ferme le murature laterali bastano le molto meno costose e ingombranti “catene tiranti” sotto le capriate. Mi chiedo e domando agli autori del sito perché queste poco ingombranti catene non sono state applicate per l’intera lunghezza dell’edificio, con un costo minore e una fruibilità maggiore degli spazi aperti per le liturgie, quando non c’era ancora la Tivvù a circuito chiuso? Capricci dei Farfensi spreconi che avevano soldi a iosa e le idee poco chiare oppure capimastri pasticcioni e incompetenti?

Sono costretto a stigmatizzare anche la impropria attribuzione del monumento a modelli esotici contenuto nella frase: “Detto ciò a titolo generale, va specificato che la chiesa è un esempio di arte lombarda su schema borgognone”. Rifiuto una simile attribuzione, figlia soltanto del fascino per l’esotico dei critici d’arte ottocenteschi, per il suo aperto conflitto col fatto che per l’autore della pagina di storia dello stesso  sito sono solo i documenti cartacei che ci possono parlare di storia e non le strutture in se stesse. Se la Basilica nasce soltanto col documento farfense e le tipologie strutturali non contano un bel nulla a sostenere altre datazioni di molto anteriori, nessun documento scritto dell’epoca, che io sappia e che nessuno ha mai fornito, ci certifica con una prova scritta che la Basilica è fatta su modelli d’arte lombarda (i leggendari Comacini si trasferivano in grandi gruppi, ma pretendevano contratti scritti).

Di questi modelli “borgognoni” alla fin fine, se volessimo fare un confronto, lo possiamo fare non con edifici tipo, ma soltanto con bei disegni di “ricostruzioni congetturali” ovvero fantarchitetture perché in quella regione non esiste né integro né in rovina alcun esemplare confrontabile realizzato in quell’epoca, ma solo strutture edificate almeno quattro secoli dopo. Per di più per copiare strutture così lontane da casa nostra, sono necessari contatti stretti e frequenti fra i maestri muratori, ma frequentazioni e scambi tecnologici fra Cluny e Farfa sono totalmente sconosciuti alla storiografia, in un tempo nel quale non esistevano ancora né i libri d’arte né le ricostruzioni congetturali a cui ispirarsi per scrivere saggi. Per giunta un occhio attento alle tipologie strutturali può notare che delle tre absidiole radiali della nostra Basilica, quelle che per intenderci fanno tanto “cluniacense” (ed erano citate nel cartello sostituito), due sono chiaramente ricostruzioni ottocentesche o fors’anche costruzioni ex novo.

Anche le “lesene” che tanto farebbero “arte lombarda” hanno invece origine da una ragione tecnica nota e applicata anche qui da noi già ai tempi nell’antica Roma, pratica portata in Lombardia quando Valentiniano nel IV secolo spostò la sua capitale da Roma a Milano. La questione, squisitamente tecnica, è connessa coi problemi dell’assestamento su terra delle fondazioni molto sviluppate in lunghezza che non potevano avere, a quei tempi, la “trave rovescia” delle più recenti fondazioni in calcestruzzo armato (chi è curioso me lo chieda direttamente). Non è il caso di insistere anche perché quando scrissi un decennio fa sul monumento pensavo di stimolare la ricerca dei suoi più completi valori di testimonianza storica, piuttosto che la reazione negatoria a tutti i costi del locale Centro Studi Montecosarese.

Ricordo a proposito che nel Luglio scorso, su suggerimento del reverendo parroco don Lauro e grazie all’organizzazione dell’ACLI, proposi una serata dal titolo “Chiesa o Basilica? PARLIAMONE” in cui illustrai documenti e argomenti che supportavano la mia tesi. Fra le più di cento persone presenti, nessuno si è fatto avanti a parlare, perciò “chi tace acconsente” pur se non ho premesso la parabola della mela sul tavolo a zittire chicchessia. Mio nonno classe 1875 mi diceva: “ricordati che il tempo è galantuomo”, perciò lasciamolo scorrere con buona pace degli uomini di buona volontà, godiamoci la bellezza del monumento e ognuno la pensi come gli pare..

Medardo Arduino

Medardo Arduino

5 luglio 2025

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti