L’Imperatore Gallieno, la pronipote Anicia Lucina e la nostra zona

Print Friendly, PDF & Email

Se al momento non si può dimostrare che Gallieno abbia più o meno lungamente soggiornato nel maceratese, è però certo che una sua pronipote avesse delle proprietà nella zona di Osimo.

 

Il nome di Appignano

Lo dicono agiografie di Santi e Martiri tramandateci, in particolare gli “Acta Sancti Anthimi”, che spesso vengono giudicati leggendari e favolosi perché le storie dei suoi protagonisti mal si raccordano, ma rettificando la geografia diventano verosimili… Anicia Lucina (da notare l’appartenenza alla gens Anicia, la potente famiglia di cui fece parte anche San Benedetto) era moglie del proconsole Aulo Piniano Faltonio (o Falconio, e alcuni storici sostennero che da lui, o da una gens Pinia, prese nome il Comune di Appignano).

 

Cristiani fuggiti a Osimo

Alla fine del 300 d.C., questa coppia facoltosa di Roma, aiutò dei cristiani a fuggire da Roma per salvarli dalle persecuzioni, ospitandone alcuni presso una proprietà di Lucina a Osimo, altri, fra i quali il più noto di tutti è Sant’Antimo, in una villa di Piniano nella località di Curi, “presso il XXII miglio della Salaria Gallica”.  Per quanto riguarda i fuggitivi ospitati in Osimo, Sisinio, Fiorenzo, Dioclezio, vennero in breve martirizzati, e il Duomo di Osimo ne conserva ancora le spoglie.

 

Sant’Antimo

Sant’Antimo e la Salaria Gallica

Sant’Antimo venne ucciso in questo oratorio di Curi, che viene comunemente collocato, un po’ forzatamente, in Sabina, ma oggi sappiamo che la Salaria Gallica attraversa l’interno delle Marche passando anche vicino Appignano. Resta da localizzare la villa di Piniano al XXII miglio: la Salaria Gallica, che nelle pergamene medievali – vedi carte fiastrensi – era detta “via antiqua” è una via che non parte da Roma come le altre, ma collega la Flaminia alla via Salaria (quella di Ascoli Piceno), partendo da Fossombrone e attraversando l’interno della Regione Marche fino ad Arquata del Tronto (vedi articolo del dottor Nazzareno Graziosi su La rucola  n° 213 o al link https://www.larucola.org/2016/04/20/le-salarie-picene/), quindi il “punto zero” potrebbe essere Fossombrone o Arquata, o altri punti strategici della via, a seconda del momento storico.

Tratto della Via Antiqua

Contrada Forano di Appignano

Le 22 miglia romane corrispondono circa a 32,5 km., ed è la distanza esatta che intercorre tra Jesi e la contrada Forano di Appignano, all’incirca nei pressi dell’antico convento francescano o lungo la cosiddetta “Cimarella”, dove si trova anche la “Pieve di Santa Maria di Almaiano, oggi diroccata. E quindi? Ecco l’ipotesi: potrebbe essere in questi luoghi che Sant’Antimo pregava e fu ucciso, la vera Curi (o Cures, omonima di quella in Sabina), in un possedimento di Piniano Falconio (antenato dei Falconi?), abitata nel III secolo da un clan di nome Curi, cognome che ancora oggi ad Appignano esiste (e come altri cognomi si trova quasi esclusivamente nelle Marche e a Roma).

Santa Maria di Almaiano

Tra i nomi delle contrade manca Curi

Caratteristica di Appignano è che malgrado le variazioni della toponomastica, ancora oggi alcune zone rurali portano il nome delle famiglie che ci abitavano (si può verificare anche su Google maps trovando i nomi di Giuliani – Cerquetella – Lillini – Vissani – Calamante – Galli – Marzioni – Mancinelli – Marinsalta – Foresi), non c’è la contrada Curi, ma se davvero era lì, quando nel 1200 la zona assunse il nome Forano, se ne perdette la memoria, e la storia di Sant’Antimo fu poi ricostruita in Sabina, come tanti altri pezzi di storia marchigiana (al di là che sia o non sia stato fatto appositamente).

Il libro di Cesare Fini

A supporto di quest’idea ci sarebbero le parole di Cesare Fini nel libro da lui scritto “Forano e il suo Santuario” del 1988, dove leggiamo: (Piniano) per liberarli li mandò nelle sue terre, presso Osimo dove erano distesi i suoi poderi, “praedia de Piniano”. Sisinio, Fiorenzo e Dioclezio con Antimo vennero così dove sorgerà Appignano. Questi fervidi cristiani accrebbero il loro numero, svuotando i templi pagani, per cui furono condotti fuori e lapidati. Subirono il martirio l’11 maggio 304 e sono in grande venerazione ad Appignano.

Non ci sono tracce di Antimo

Non conoscendo riguardo a ciò le fonti di riferimento di Cesare Fini, che resta nel vago e non dice nemmeno dove, in quale paese o chiesa questi martiri sono venerati (A Forano? In un’altra chiesa appignanese?) dobbiamo perciò limitarci a osservare che, come abbiamo visto sopra, Sisinio, Fiorenzo e Dioclezio si trovano sicuramente nella cattedrale di San Leopardo a Osimo, come da agiografie, mentre non si trova traccia di Antimo sepolto insieme con il suo compagno Fabio.

Le reliquie

A questo punto sarebbe interessante andare a cercare nelle “collezioni” di reliquie delle chiese appignanesi i nomi che ci interessano: Antimo, Fabio, ma anche quelli di Piniano e Lucina, i quali risultano semplicemente morti a Roma. Verifica di cui in realtà dubitiamo fortemente, perché anche se ci fossero stati avrebbero ormai fatto la fine di Leone IV, corpo sparito dalla Chiesa di San Giovanni a Macerata, subito dopo la uscita di “Macerata sacra” di don Otello Gentili, dove figurava, e cancellato nella seconda edizione… (Ndr: a tal proposito la nostra richiesta, verbale e scritta, di poter fotografare gli interni di San Giovanni o visionare le foto disponibili in Diocesi, da molti mesi attende risposta, non siamo stati ritenuti degni neanche di un lapidario “non c’è”).

Quei dipinti a Osimo…

Tornando a Osimo invece,vorremmo sottolineare un altro particolare: nel 1767 in una relazione del canonico Giovanni Andrea Lazzarini si legge che nell’abside del duomo di San Leopardo di Osimo furono dipinti alcuni episodi della vita di questi martiri, tra i quali il battesimo di Piniano e Lucina da par te di Sant’Antimo, e una serie di medaglioni con le effigi dei vescovi diocesani; ma appena un secolo dopo iniziò quello che all’epoca fu chiamato “restauro della chiesa” consistente in realtà nella distruzione di parte delle opere messe in atto nei secoli precedenti; furono eliminati i medaglioni e infine nel 1956 fu tolta tutta l’intonacatura interna. Pratica eseguita in quel periodo in molte importanti nostre chiese medievali.

Testi: Martirologio Geronimiano; Martirologio Romano; Appignano, i segni della storia – aa.vv. 2003; Relazione della pittura fatta nell’abside della Cattedrale di Osimo – G.Lazzarini 1768; Forano e il suo Santuario-Cesare Fini 1988. Fonti web: luoghidelsilenzio.it, santiebeati.it, wiki-pedia.org,

Simonetta Borgiani

Nota del Direttore

Sarà stata una moda dei tempi moderni togliere tutta l’intonacatura? O dettata da esigenze igienico-strutturali? O un chiaro ordine dall’alto per distruggere volti, nomi e prove, come pattuito tra Chiesa e un paio di Stati oltralpe, per non intralciare la riscrittura della Storia? I detrattori, tutti coloro che ritengono follie questi scritti nostri e dei nostri amici e collaboratori, dovrebbero cominciare a porsi delle domande e intervenire con gli strumenti di cui dispongono, se non altro per comprovare i nostri errori e impedirci di… fare danni. Noi cerchiamo di rivalutare il nostro territorio, e lo facciamo a nostre spese: tempo, denaro, reputazione. Continueremo a scavare e a scrivere di imperatori e principesse, di monaci potenti, di Piceni gagliardi che da secoli reclamano dignità e onore.

Lapide di Gallieno, cattedrale di San Catervo a Tolentino

20 febbraio 2019

A 14 persone piace questo articolo.

Commenti

commenti