Intervista a Giuseppe Sabbatini, scrittore maceratese

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Intervista di Eno Santecchia all’avvocato Giuseppe Sabbatini, autore di alcune pubblicazioni, anconetano ma maceratese d’adozione, collaboratore del mensile “La Rucola”, che ci racconta alcune delle sue esperienze narrative.

Quando e come è nata la passione di scrivere fuori dall’ambito professionale e diretta ad “altri” lettori? – “Frequentando nel 1954 il primo liceo classico al Rinaldini di Ancona avevo il professor Leonida Gubinelli, nativo di Pievebovigliana, latinista e ottimo insegnante di italiano e greco il quale, per il periodo estivo, ci caricò di compiti e ci invitò a scrivere delle novelle. Scrissi su di una manifestazione serale alla quale avevo partecipato a sostegno della volontà italiana di riavere Trieste. Evidenziai il nostro entusiasmo e il tremolio delle fiaccole che portavamo lungo il viale della Vittoria al monumento dei Caduti. Il professore lodò quello scritto e forse lì si accese la prima fiammella della mia passione per lo scrivere. Comunque Lei comprenderà come, in ben oltre cinquanta anni di  esercizio della professione legale, io abbia coltivato con profitto la scrittura attraverso la redazione di innumerevoli atti, ricorsi, comparse, memorie di ogni tipo, prevalentemente nel settore civile. Naturalmente, impegnato com’ero per le necessità del lavoro, della famiglia e dell’Associazione Arma Aeronautica di Macerata, che ha avuto anch’essa notevole parte nella mia vita dopo aver espletato il servizio militare come Ufficiale di complemento dell’Aeronautica, non ho mai avuto davvero la possibilità di riservare una parte del tempo e così potermi dedicare, come avrei desiderato, alla stesura di libri o scritti vari su ricordi, pensieri, attività che avevo maturato oppure di fantasia. All’Associazione in particolare ho dato l’anima, organizzando numerosi eventi a livello provinciale e regionale; quello che ha toccato più emotivamente Macerata è stato il “Pellegrinaggio aereo di una immagine della Madonna di Loreto” nel corso dell’Anno Santo 2000. Durante l’esercizio della professione conservavo tutto quanto di interesse mi capitasse sottomano a riguardo di particolari persone o anche di attività che tuttora esercito, come la caccia, perché sentivo che prima o poi avrei finito per utilizzarlo, quando fosse arrivato il tempo per appendere la toga. Speravo che a quel punto il Buon Dio me ne concedesse altro, a sufficienza”.

Quali sono stati gli sviluppi? – “È accaduto una decina di anni fa di aver sofferto, per un male contro cui abbiamo assieme a lungo lottato, la perdita dell’amata consorte Franca e da allora, pur proseguendo la professione fino al 2018, per tenere la mente occupata e superare l’inevitabile sconforto nel quale ero piombato, ho iniziato davvero a dedicare parte del tempo anche alla scrittura esordendo (nell’anno 2012) con un libro dal titolo “Io e il Professore”,  storia di una indimenticabile mia esperienza di vita atletica in Ancona accanto e sotto la guida del professor Goffredo Sorrentino. Questi, primo medico sportivo in Italia, fra l’altro, nel 1919, aveva creato il “Plotone Allievi Atleti”, introducendo nelle Forze Armate lo sport e nello sport la medicina. In quella unità, nei quasi otto anni di sua durata, confluirono tantissimi allievi, molti dei quali divenuti atleti di spicco e campioni nazionali, applicando le teorie e gli insegnamenti di allenamento e di vita, che renderanno poi, nel periodo 1920/1940, Sorrentino famoso in tutto il mondo dello sport. Sono stato l’ultimo suo allievo e l’ho voluto così ricordare, anche se nel 2012 erano già trascorsi quasi cinquanta anni dalla sua morte. Ho proseguito con regolarità a sfornare in seguito scritti di eventi, curiosità, stati d’animo, pensieri e riflessioni, a metà fra realtà e fantasia,  pubblicati con i  titoli: “Vendicar Don Chisciotte, conquistar Dulcinea” (2014), “Ritorniamo al casolare e mettiamoci a zappare” (2015) e “Ieri ero nessuno” (2017)”. Libri da ultimo raccolti, come una trilogia, in un cofanetto”.

Quale altro percorso ha intrapreso? – “A un certo punto ho voluto cimentarmi su nuove strade e, dopo un libro scritto a illustrazione e gloria della Tradizione Lauretana sull’arrivo della Santa Casa di Nazareth in terra marchigiana dal titolo “Focaracci della Venuta (2018)”, ho deciso di affrontare il tema del romanzo storico, non per fare sfoggio di erudizione che di per sé non mi attira, ma per dare adito a un po’ di fantasia, cercando di non scostarmi più di tanto dalla realtà. Secondo il consueto mio modo di esaminare con attenzione i particolari dei casi dei quali mi sono professionalmente occupato, ho cercato anche nello scrivere di esaminare e approfondire e, per quanto possibile, rappresentare nel loro intimo i personaggi trattati, evitando di scrivere inutili biografie, ma privilegiando le loro caratteristiche quali riconoscibili e desumibili dagli eventi e dai comportamenti che la Storia che li riguarda ricorda. Ho anche scoperto, ragionando su date e circostanze, coincidenze nuove e sorprendenti, che altri non mi risulta abbiano mai notato. Con questo indirizzo del romanzo storico ho già dato alle stampe: “La Battaglia dei Campi Catalaunici”(2018), l’ultimo squillo di vittoria dell’Impero romano d’Occidente, e “Sulle tracce di Gregorio – Papa Gregorio XII – Angelo Correr – veneziano” (2019), un Papa, un Uomo che seicento anni fa seppe, per il bene della Chiesa, rinunziare al Papato. Non una biografia ma un’analisi di quell’uomo attraverso la sua opera e gli eventi dell’epoca”.

Quali interessi le sue pubblicazioni hanno suscitato nei lettori? – “Come e quanto quello che scrivo sia o sia riuscito di interesse non sta a me di giudicare. Personalmente prediligo lasciare spazio al lettore per pensare, interpretare e capire i miei libri. Alcuni commenti che sto sempre più ricevendo anche da scettici iniziali mi dicono che chi legge davvero – e capisce quello che legge – apprezza e questo dà enorme soddisfazione e stimolo per continuare”.

Oggi come sta superando la crisi del coronavirus? – “La sto affrontando studiando e scrivendo, sistemando le mie fotografie e cercando d’imparare a lavorare con il computer. Non ho finito, perché in questo tempo così irreale, com’è quello che stiamo tutti affrontando, sto ultimando il seguito de “La battaglia dei Campi Catalaunici”. Qualcuno che aveva letto quest’ultimo libro me lo aveva richiesto e adesso sto cercando di accontentarlo, tirando fuori dal cilindro le mie ispirazioni su: “Terenzio legionario romano” (questo il titolo del nuovo libro), personaggio di fantasia che ho fatto nascere a Ricina (oggi Villa Potenza) e che nel giugno del 451 d. C. ho fatto combattere contro gli Unni di Attila, nella regione francese della Marna. Scrivo e scriverò soltanto perché e se mi ci diverto. Ma questa non è una minaccia agli affezionati lettori per il futuro; è solo un modo per sentirsi ancora vivo”.

L’intervista si conclude qui e la termino con una frase tratta dal mio ultimo libro: “Da dove viene questa brezza”: “Lo scrittore di romanzi e racconti storici svolge una notevole mole di lavoro per far sì che i suoi personaggi si muovano in un ambiente autentico”. Dobbiamo rendere merito all’avvocato Giuseppe Sabbatini per le sue ricerche: calare un personaggio in un contesto storico richiede studio e ampia documentazione.

Eno Santecchia

20 luglio 2020

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