Corridonia, notevole esempio di architettura razionalista: Piazza Filippo Corridoni

È una emozione, per me, osservare e fotografare la “piazza” per eccellenza di Corridonia, dedicata a Filippo Corridoni, perché mi ricorda l’infanzia. Qui (ma anche “là lu Monteró”) giocavo con gli amici: uno spazio infinito dove erano parcheggiate solo poche auto, da contarle sulle dita di una mano e ordinatamente sistemate sotto il muraglione, tra cui la Topolino C di mio padre. La scalinata della chiesa di San Francesco era la sede del “Giro d’Italia”, o del “Tour de France”, dove noi ragazzini facevamo filare i tappi delle bottiglie di birra o di gazzosa lanciandoli con il pollice e il medio a dare la spinta. Tappi decorati internamente con i colori delle maglie dei campioni dell’epoca: il mio era Rik Van Looy. Altro che i giochini in solitaria sul cellulare… altri tempi pieni di fantasia e d’inventiva.

Troppe auto – La piazza nel suo biancore è ancora bellissima e unica (qualcosa di simile è nel basso Lazio), la sola pecca è l’invasione delle auto che non ne permette la vista d’insieme per apprezzarla nei suoi equilibri formali e nemmeno permette di scattare foto decenti.

Il castello – In questo luogo c’era l’antica Piazza Castello e il castello, oggi non più esistente (ne resta traccia in un dipinto, vedere “La rucola numero 248 pag. 10 e sul link https://www.larucola.org/2019/03/15/il-castello-di-montolmo-e-i-suoi-lunghi-cunicoli-sotterranei/) era discosto poche decine di metri, nella parte più alta del paese.

Le vecchie costruzioni – L’area venne spianata, le basse casupole abbattute, come pure i resti della fortificazione medievale e la chiesa di Santa Maria de Jesu. Delle vecchie costruzioni restano la imponente chiesa di San Francesco, alcune case del XV secolo e la piccola chiesa seicentesca del Suffragio, dal campanile a vela, che termina le costruzioni in cotto per lasciare spazio al bianco marmo di Carrara.

Il bianco marmo di Carrara – Dalla parte opposta, invece, la mole del Palazzo Comunale e il colonnato del loggiato terminano con un’arcata, quasi un portale di congiunzione con la vecchia parte posteriore e un muraglione che non mortifica le costruzioni retrostanti ma, anzi, ne inserisce la visione che va a sfociare nelle arcate dell’antico convento e termina con la facciata e il corpo della chiesa di San Francesco. Una scalinata di marmo bianco raccorda il cotto della facciata con il resto delle nuove strutture, alleggerendo gradualmente il bianco dell’insieme. La scalinata assolve la funzione  di rendere fruibile l’originale ingresso all’edificio sacro rimasto sopraelevato rispetto alla pizza dopo i lavori di sbancamento e di livellamento. Il livello del vecchio piano di calpestio è ancora visibile sul fianco sinistro della chiesa. Insomma, arrivando da piazza del Popolo si scopre e si allarga la veduta di un notevole esempio di architettura razionalista italiana, quasi un quadro di Giorgio De Chirico… automobili permettendo.

Filippo Corridoni – Come fu che il regime fascista volle realizzare a Pausula (perché questo era il nome della cittadina in quel periodo) una opera di così grande importanza artistica, architettonica e dal notevole impegno economico? La spiegazione ricade in un nome: Filippo Corridoni, sindacalista, interventista, eroe della Patria. Nel 1931 Pausula mutò il suo nome in Corridonia, in ricordo e onore del suo importante figlio caduto nella Trincea delle Frasche durante la prima guerra mondiale.

Due i progetti – Nello stesso anno il Governo bandì un concorso nazionale riguardante la progettazione di una nuova piazza. I lavori presentati non furono ritenuti idonei per cui il progetto fu scisso in due distinte sezioni: una riguardante la statua, l’altra concernente la piazza e il complesso architettonico. L’incarico di eseguire la statua fu affidato a Oddo Aliventi, mentre la realizzazione della piazza e dei tre blocchi raccordati dal loggiato, rispettivamente il municipio, l’ufficio postale e la fontana con sul retro l’acquedotto, furono assegnati all’architetto Giuseppe Marrani e all’ingegnere Pirro Francalancia.

Cinque anni di lavoro – In cinque anni l’opera venne pronta e fu inaugurata dallo stesso Benito Mussolini nel 1936, anno delle celebrazioni organizzate in memoria di Filippo Corridoni, di fronte a una folla oceanica. La centralità della piazza è tutta del monumento, stretto in un largo abbraccio marmoreo, con il palazzo comunale a fare da sfondo scenico alla scultura ma non meno importante è il monumento ai Caduti che ha alla base la fontana. Questa ultima, quando sono attivati i getti dell’acqua illuminati dai fari, presenta uno spettacolo ricco di fascino e di suggestioni.

La statua – La scultura ideata e realizzata da Oddo Aliventi si erge imponente per sette metri di altezza, che salgono a dodici sommandoci il basamento. Per costruirla vennero fusi numerosi cannoni catturati al nemico austriaco nel corso della prima guerra mondiale. Il basamento si proietta nella piazza come fosse la carena di una imbarcazione mentre, in effetti, è la torretta di un sommergibile che emerge dal “mare” di sampietrini e assolve alla funzione di pulpito, dal quale per primo si sporse Benito Mussolini. Intorno al corpo centrale, anch’esso in marmo bianco, è inserito un arengario composto da sei bassorilievi in bronzo, dove sono illustrati i momenti salienti della vita di Filippo Corridoni: il sindacalismo, l’interventismo, il sacrificio estremo e finale. Nel bordo superiore corre la seguente scritta: “Morirò in una buca contro una roccia o nella corsa di un assalto: ma se potrò cadrò con la fronte verso il nemico come per andare più avanti ancora”. L’artista ha inteso raffigurare l’eroe mentre avanza impavido contro il nemico, nell’atto di alzare al cielo il fucile perché colpito a morte e sta per cadere riverso all’indietro.

Il volto cancellato – Riguardo all’ultima parte del bassorilievo, che raffigura lo storico comizio milanese del 1915, compaiono in primo piano Filippo Corridoni, protagonista del comizio e, di fianco a lui, c’è la figura di Benito Mussolini, entrambi esponenti di spicco delle attività sindacali e politiche di quel periodo. Ebbene, dopo la fine della seconda guerra mondiale il volto del dittatore venne camuffato in modo da renderlo non riconoscibile agli osservatori. Una fine simile toccò al dipinto murale, realizzato sulla parete di fondo della sala consiliare, da Guglielmo Ciarlantini raffigurante Mussolini a cavallo che calpesta un drago a tre teste mente sopra di lui volano delle aquile. Questa opera dopo la Liberazione fu danneggiata dagli antifascisti locali.

Nulla cambia nel corso dei secoli…

Servizio e foto di Fernando Pallocchini

29 settembre 2020

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