Incontro a San Claudio al Chienti con lo storico Franco Cardini – seconda parte

Intervento dell’architetto Medardo Arduino a seguito della conferenza del professor Franco Cardini a San Claudio al Chienti.

Pubblico numeroso, seduto, in piedi e fuori dall’ingresso – Ho presenziato alla conferenza dell’emerito professor Franco Cardini nel teatrino parrocchiale di San Claudio di Corridonia. Essendo da tre lustri coinvolto nella vexata quaestio dell’Aquisgrana in val di Chienti piuttosto che in Renania, ritengo di poter esprimere le mie personali opinioni sull’evento che ha riempito la sala fino a farla traboccare. La prima constatazione, aspettando il relatore è stata sul pubblico. Dall’ultima fila di sedie potevo vedere le teste dei presenti notando che quelle degli uomini (delle signore mai si deve dire età) erano tutte o brizzolate o con segni di calvizie, nessun giovane a quanto pare è stato interessato da una questione inerente le sue radici culturali. Questo manifesto disinteresse dei giovani non è certamente colpa dei “sanclaudisti”, ma responsabilità di quei professori che insegnano loro nozioni obsolete ed astratte, talvolta solo per far passare il tempo in attesa dell’età pensionabile. Comunque la sala piena vuol dire che interesse e/o curiosità erano piuttosto alti, ma secondo me sono stati frustrati dall’inosservanza del tema annunciato sul manifesto dell’evento da parte dell’esimio professore fiorentino.

Una conferenza di oltre due ore – Il titolo in cartellone se non erro era: “Il Capitulare de Villis, legge che descrive le proprietà di Carlomagno e della sua famiglia”, e questo mi sarei aspettato che fosse l’argomento esposto e discusso, ma nelle due ore e passa della performance del Cardini il “Capitulare” è passato quasi inosservato, trattato sbrigativamente ed epidermicamente in una manciata di minuti. Il nostro relatore, in una verbosa prolusione di oltre mezz’ora sulle sue esperienze didattiche e di vita, nonostante non abbia mancato di precisare che una conferenza, tanto quanto una lezione in cattedra deve avere una durata limite di quarantacinque minuti, trascorsi i quali la capacità di attenzione dell’uditorio svanisce rapidamente, ha dichiarato che lui avrebbe parlato giusto per quel lasso di tempo, ma, come si suol dire, in realtà “ha predicato bene e razzolato male”. Infatti il professore ha prolungato il suo soliloquio a più d’un paio d’ore, nelle quali ci ha narrato di tutto e di più, in una serie eterogenea di pillole di storia, geografia e abitudini socioculturali dell’Età di Mezzo.

Carlo Magno, germanico – Aspetti sciorinati dogmaticamente senza le necessarie precisazioni affinché noi uditori (che secondo il relatore dovevamo essere in maggioranza dei “Carnevaliani”) potessimo capire dov’è il nostro errare e ravvederci oppure rileggere i suoi libri. Così in apertura il professore ha imperiosamente dichiarato che per Lui Carlomagno era un germanico, punto e basta, senza un minimo accenno alle ragioni che gli danno questa convinzione, ragioni utili a capire dove sbagliano coloro i quali, accettando la tesi di don Giovanni, si sono convinti che l’imperatore e patrizio romano fosse in realtà un marchigiano, anche se manca nelle fonti documentali un qualunque atto di nascita del Carlone o un documento surrogante (se questo documento ci fosse sapremmo anche dov’è nato e qui cascherebbe l’asino) perciò dobbiamo accettare che l’imperatore, il cui nome deriva dal vezzeggiativo del latino Carus, deve essere ed è germanico, perché, come scrisse un famoso conterraneo del nostro relatore, “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”.

Le eccelse qualità di Carlo magno – Il prosieguo della conferenza, giusto quando avrebbe dovuto volgere alle conclusioni secondo il timing annunciato dal relatore, dopo un velocissimo accenno al lemma “capitulare” si è snodato invece sull’aneddotica farlocca di matrice tedesca ottocentesca su Carlomagno, personaggio che, come ha ben narrato il relatore, è stato la somma impersonificazione di tutte le qualità dei grandi personaggi della storia che lo hanno preceduto, e non solo di quelli. Ha decantato un personaggio eccelso che domina la cultura del suo tempo facendomelo immaginare un gigante dell’uman sapere che possiede le conoscenze giuridiche di Giustiniano, la saggezza di Platone accompagnata dall’eloquio di Cicerone e dall’acume militare di Cesare (anche se in trent’anni non ha avuto ragione dei Sassoni e si è fatto fregare il bottino di sette anni in Spagna mentre tornava da Saragozza.), insieme con queste qualità il nostro aveva l’erudizione di un Pico della Mirandola e in più il Carlone possedeva l’inventività di un Archimede, le conoscenze di economia di John Maynard Keynes unite alle capacità dialettiche dei Santi Apostoli dopo che sul loro capo scese la divina fiammella dell’onniscienza e, credo, il professor Cardini non lo abbia chiamato Santo come taluni hanno fatto in Germania (la presunta canonizzazione del Barbarossa) soltanto perché se n’è dimenticato. Ascoltando queste qualità nella mia mente echeggiavano come sottofondo musicale le note della famosa sinfonia di Joseph Haydn Deutscland uber Alles.

Cardini e Morresi

La posizione di Heribert Illig – Ho anch’io compulsato la Vita Carolis imperatoris di Eginardo, la Chanson de Roland e la Nota Emilianense, il carme Carolus et Leo e gli Annales Laurissenses Maiores, ma ho anche letto una sintesi in inglese dell’interessante saggio del nostro contemporaneo bavarese Eribert Illig dal titolo “Carlomagno è veramente esistito? Il medioevo inventato” nel quale lo storico tedesco, enumerando e sottolineando tutte le qualità attribuite al Carlone (più o meno le stesse dette dal Cardini) conclude dicendo che un simile onnisciente personaggio non è mai esistito perché tale essere umano mostruosamente dotato di tutte le qualità ascrittegli non può esistere, quindi, così come lo si è descritto Carlo Magno è stato semplicemente inventato, come inventato è quasi tutto il Medioevo ambientato in Germania (a riguardo vedi il mio articolo su La Rucola n° 307 pubblicato sul web il 13 aprile 2024). Link: https://www.larucola.org/2024/04/13/secondo-il-ricercatore-storico-eribert-illig-carlo-magno-non-e-esistito-in-germania/

La mia posizione è frutto di anni di ricerche specifiche – La mia posizione odierna a riguardo è di ritenere realistiche le opinioni di Illig, e non già quelle raccontare dal Cardini, sia sul Carlone sia sulla storia del Medioevo dei pipinidi e carolingi artatamente ambientata in Germania per supportare la nascita della confederazione del Bismarck. La mia a riguardo non è un’idea spuntata fuori un mattino mentre mi lavavo i denti: è frutto di anni di ricerche specifiche, maturata dopo aver letto e meditato anche le opinioni di eminenti personalità del passato recente che si sono interessate della questione. Mi riferisco alla posizione del noto storico francese Fustel de Coulanges (1830 1889), in merito all’organizzazione pressoché paramilitare degli storici tedeschi dell’Ottocento che produssero il Monumenta Germaniae Historica (MGH); l’autore concludendo il suo saggio “Question contemporaines” scrive: “È stato predisposto un grande piano generale, ognuno compie la sua parte. Il piccolo lavoratore non sa sempre dove viene condotto, segue il percorso indicato”. Pressappoco della stessa opinione sul modo di operare di detti storici è anche il filosofo statunitense Charles Sanders Peirce (1839 1914) che in un saggio sul modo con cui i Tedeschi scrivono la storia conclude con: In questo modo essi si riservano una nobile libertà nel costruire la storia che più soddisfa le loro opinioni soggettive” (argomenti ampiamente trattati nei miei saggi ne “Il Piceno”).

Le qualità leggendarie di Carlomagno, che questi due grandi personaggi del passato recente della nostra cultura, e non solo il professor Illig, mettono correttamente in forte dubbio, le ho anche ascoltate o lette nei lavori dei miei concittadini proff. Beppe Sergi (citato dal Cardini) e Alessandro Barbero, continuano le tesi dei Tedeschi dell’Ottocento forse perché entrambi agli inizi di carriera non sono mai venuti nelle Marche a vedere le testimonianze materiali dei carolingi che non ci sono in Germania. Ora non possono smentirsi perché sono diventati celebri o andati in pensione dopo aver insegnato per quarant’anni una certa storia che non ha lasciato alcuna traccia di sé sui territori della Germania.

Tutti figli (tedeschi) di Carlo Magno – Storia che io vedo essere il risultato del “sanctus amor patriae dat animum” il motto che animò gli storiografi romantici della Societas aperiendis fontibus rerum germanicarum medii aevi” ovvero della “Società per la ricerca delle fonti relative alle cose (accadimenti) del medioevo della Germania”, appositamente creata nell’Ottocento romantico (quando il Medioevo diventò di gran moda) con il più grande investimento nella ricerca storiografica che sia mai stato fatto. Ciò avvenne, all’apice del nazionalismo romantico, giusto per sostenere con una storia epica, gloriosa e soprattutto germanica, la epopea carolingia che, con gran piacere del negazionismo pontificio, gli storici tedeschi hanno traslocato da casa nostra a casa loro e poi perfezionato aggiungendo un centinaio di falsi agli altrettanti documenti veri del periodo del Carlone (cfr. Roberto Paciocco – Medioevo un sussidio per temi e concetti – 2014) una storia costruita in modo tale da poter far dire al loro direttore Georg Heinrich Pertz (1823-1873) “siamo tutti figli del grande Carlomagno” creando così i presupposti di una comune radice culturale e politica dei vari staterelli germanici che, fossero restati divisi, rischiavano di essere fagocitati da un lato dalla Francia e dall’altro dall’Impero Austro Ungarico, pressappoco come dovette fare il Cavour conquistando il Meridione d’Italia per incrementare il prelievo fiscale necessario per finanziare un esercito di potenza tale da opporsi all’annessione del Piemonte alla Francia (Sappiamo però che dovette cedere la Savoia e la Riviera).

Il latino – Quando penso agli storici tedeschi dell’Ottocento, mi immagino la fatica che dovettero fare per arrivare a padroneggiare il Latino augusteo per poter scrivere tutto in Latino e latinizzare anche i loro nomi, obbligati dal fatto che fin dal loro apparire sulla scena storica dell’Alto Medioevo i Franchi si esprimono per iscritto solo e sempre in Latino, cosa semplicemente assurda se fossero stati tutti germanici e pertanto il Latino non poteva essere la loro lingua madre perché non è usata nel “giuramento di Strasburgo” che è stato recitato in Romano e in Teutonico, argomento fondamentale per la vera storia, ma che il Cardini pur parlando di tutto non ha trattato. Mai ho capito perché gli storici nostrani abbiano accettato che i Franchi che si vuole fossero germanici, da sempre si siano espressi in Latino, lingua degli odiati sconfitti (J. M. Pardessus scripsit) e in questa stranezza siano indiscutibilmente l’unico caso al mondo nell’intera storia dello scibile umano di vincitori e dominatori che (per decreto di un re pastore) parlano la lingua degli sconfitti e ne assumono anche tradizioni e mitologia, manifestando una grande, anzi smisurata invidia, perché tutta la loro storia, leggi ancestrali comprese (Lex Salica), è solo e sempre in Latino fin dalle prime loro menzioni nella storia (Sidonio Apollinare scripsit).

Cardini e Morresi

Radici etniche dei Franchi – Nella lunghissima dissertazione non è neppure stato accennato, nonostante l’ampio spettro della narrazione, alla questione delle origini di quelle genti, spiegando se le radici etniche dei Franchi e con esse la loro cultura primeva, appartengano ai Tedeschi oppure ai Francesi, viste le non marginali differenze culturali fra i due popoli attuali. Invece abbiamo sentito solo episodi senza confronti di una storiografia tutta tedesca. Per aver frequentato qualcuno dei docenti di storia a Torino, posso spiegarmi la loro condivisione della storia germanizzata: una posizione del tutto simile a quella del professor Cardini, di medievisti in cattedra che si sono trovati all’improvviso di fronte alla “eresia” proposta da don Giovanni; loro che sono stati avviati fin da giovani a studiare su testi di autori tedeschi la versione tedesca della storia, perché quei testi erano indicati nei programmi ministeriali già dal periodo in cui l’Italia era politicamente e militarmente alleata alla Germania, pertanto già da studenti hanno interiorizzato senza alcuna alternativa, opere che trattavano una vicenda storica artefatta per la ragion di stato, una situazione iniziata addirittura qui da noi del Quattrocento con la falsa “donazione di Costantino” storia artefatta, ritoccata e messa a punto in più di mezzo millennio, per negare la esistenza della Francia picena, contraffazione culminata, sempre per la “ragion di stato”, al tempo della nascita del secondo Bundesreich di Bismarck (secondo gli storici tedeschi dell’M.G.H. il primo reich era stato quello del Carlone), in questo negando l’evidenza fisica e documentale di quella Francia antiqua (così indicata da Notker di San Gallo) riscoperta da don Carnevale trent’anni fa.

Gallia e Francia – Proprio sull’argomento di dove fosse la Francia al tempo del Carlone, ha contraddetto la storia che lui stesso sostiene quando il nostro relatore ha spiegato che a quel tempo il territorio della Francia attuale era detto (giustamente) La Gallia, dimenticandosi però del piccolo dettaglio degli Annali di Lorsch che all’anno 753 recitano: “Eodemque anno Stephanus Papa venit in Franciam, adiutorium et solatium quaerendo pro iustitiis sancti Petri…”  Perciò, se il territorio oggi detto Francia a quel tempo (Carlomagno aveva forse otto o nove anni), era ancora chiamato “le Gallie” come ai tempi di Cesare, essendo Gallia non poteva certamente avere il nome attuale che colà compare come Royaume de France solo agli inizi del XIII secolo. Malauguratamente per il professore, il toponimo Francia che si legge negli Annales esiste già e proprio lì Pipino il Breve ha il suo palazzo, perciò dove lo vogliamo mettere? Potrei suggerire ma lascio ai posteri l’ardua sentenza. Nella lunga dissertazione a tema libero, il cattedratico, senza perdere ogni tanto l’occasione di smentire Carnevale (cosa decisamente difficile se si fosse parlato del solo Capitulare), ha toccato anche la questione della monetazione.

La monetazione – Dell’argomento ha detto solo ciò che andava d’accordo con la storia ufficiale, non ci ha spiegato a esempio perché la zecca aurea carolingia fosse a Lucca e non in Renania, per ciò se Aquisgrana fosse stata dove vuole lui, mi immagino decine e decine di chilogrammi d’oro andare e venire dalla Toscana alla Westfalia a dorso di mulo, senza furgoni blindati e senza destare mai l’interesse dei Longobardi o dei Sassoni, men che meno dei predoni Sarracini. Dell’irrazionalità di questo aspetto concreto della monetazione (peraltro introdotta da Pipino il Breve e non dal figlio) e della sua impossibilità logistica con Aquisgrana in Germania, nessuno degli storici nostrani si è fatto carico di contrapporla alle tesi avanzate dagli storiografi bismarckiani, più facile contestare il solitario don Carnevale.

Ho perso… il Capitulare – Non avendo rispettato i promessi 45 minuti, ho, mio malgrado, perso per inderogabili impegni quei pochi minuti di conversazione sul Capitulare che, promessi all’inizio della performance dal relatore, sono arrivati più di un’ora e mezza dopo l’inizio della conferenza, forse tale argomento era stato scelto dai “sanclaudisti” perché su questo particolare documento si prefiggevano di mettere il relatore alle corde con l’elenco dei vegetali prettamente mediterranei contenuto nel testo, ma pare sia andata buca. A mio avviso non era questo delle specie botaniche l’argomento principe per sostenere le tesi e la memoria di don Carnevale, ma di questo aspetto si è parlato per pochi minuti, purtroppo un argomento scivoloso se il Capitulare non è ben inquadrato nei significati giuridici del documento. Seppur con diverse caratteristiche specifiche in relazione alla latitudine, le specie botaniche elencate possono essere coltivate in tutta l’Europa occidentale continentale: il ginepro, che si faceva fermentare anche qui nelle Marche e che in Val d’Aosta diventa un ottimo Genepy, in Olanda è il popolarissimo Jenever, tanto per fare un esempio difficile. Il significato storico geografico del Capitulare doveva essere affrontato a parer mio in un altro modo, che vi posso spiegare se avete la voglia e la pazienza di leggerlo nelle pagine seguenti. Il prof Cardini ha spaziato in lungo e in largo per tutto il Medioevo e mi scuso se per forza ho dovuto inseguirlo lì dov’è andato con le necessarie seppur verbose puntualizzazioni su alcune delle incongruenze su cui è incorso tentando signorilmente di schivare le questioni spigolose rimbalzando come una pallina da ping pong in lungo e in largo sul campo della medievistica. Termino sottolineando l’addolcita e possibilista posizione conclusiva del relatore, in pratica un finale tosco-marchigiano a cantucci e vino cocto.

Medardo Arduino

18 agosto 2025

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