I reperti dovrebbero restare nel territorio di provenienza

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Il mondo non è rimasto immobile per millenni, in attesa della nostra evoluta e pimpante generazione. Conoscere la storia dovrebbe essere fondamentale per prendere atto che le civiltà si sono evolute gradatamente. Questa asserzione dovrebbe essere ovvia. Ma per conoscere la storia non è sufficiente ricordare quanto scrive un solo autore: si dovrebbero consultare vari storici (di epoche diverse) e trovare le doverose concordanze. Da alcuni anni ho impegnato buona parte del mio tempo nella ricerca delle fonti, privilegiando gli autori antichi, facilmente consultabili sui siti tramite il motore di ricerca “Google”.

 

Accessibilità ai dati

Se “Google”, ente privato commerciale statunitense, consente di consultare e “scaricare” un numero infinito di volumi antichi, perché l’elefantiaco apparato pubblico, che dovrebbe custodire e diffondere la cultura italiana, non rende di pubblico dominio almeno il numero dei reperti prelevati nei vari siti del piceno, compresi quelli non esposti? Dicono che sia possibile la consultazione, previa documentata richiesta ben motivata. Forse è troppo ingenuo credere che almeno i dati dei reperti venuti alla luce nelle varie campagne di scavi, (finanziate con fondi pubblici) debbano essere a disposizione di tutti, non solo di pochi eletti. Chi non ha “santi in paradiso” deve arrabattarsi e desumere notizie dove possibile. Si deve riconoscere che internet è una fonte inesauribile. Sono evidenziate le necropoli picene ricche e più importanti delle Marche (da nord a sud); Matelica, Numana e Sirolo, Tolentino, Pitino di San Severino, Montegiorgio, Grottazzolina, Cupra Marittima, Grottammare, Colli del Tronto, Montedinove. Ma il sito più grande di tutti è quello di Belmonte Piceno, ricchissimo di tombe (forse più di 300), piene dei più svariati reperti, compresi numerosi carri e bighe.

 

Una triangolazione

Belmonte  Piceno, Montegiorgio e Grottazzolina sono tre paesi sulla media valle del fiume Tenna, a 25 Km dall’Adriatico; sono edificati su tre colli vicini, l’immaginaria linea (liea aerea) che traccia delle distanze tra di essi crea la figura di un triangolo (Montegiorgio – Grottazzolina Km 5,9; Montegiorgio – Belmonte Piceno Km 5.3; Grottazzolina – Belmonte Km 6,6).

 

Grottazzolina

Secondo Gabriele Nepi e da altri dati si rileva che nel 1948 P. Guido Piergallina scopre quattro tombe picene, della seconda età del ferro. La soprintendenza di Ancona, invia il Prof. Gentili che porta alla luce una cinquantina di tombe. Tutto il ricco e numeroso materiale trovato (elmi, lance, pugnali, svariato vasellame in terracotta e in bronzo, spadone con fodero, fibule e ornamenti personali in gran numero, rocchetti da tessitura, spiedi e le ruote da carro o biga nelle tombe V e VI) venne inviato al Museo Archeologico di Ancona. Non si ha notizia di scavi precedenti.

 

Belmonte

Qui la storia è più ampia e articolata. Sul finire del 1800 i contadini iniziano ad aumentare la profondità dell’aratura del terreno e cominciano a trovare “cose strane”: corredi in ferro, bronzo e ambra. Il medico e studioso belmontese Silvestro Baglioni comincia a raccogliere e catalogare quelle cose strane e probabilmente concede regalie. Nel maggio 1901 Baglioni vende al Museo Nazionale Preistorico Luigi Pigorini di Roma numerosi materiali raccolti a Belmonte Piceno, pertinenti a 10 o 12 tombe distrutte nel corso di lavori agricoli. I rapporti con il Pigorini sembra si siano protratti nel tempo. Il Baglioni assurge a notevole notorietà nel settore archeologico, in Italia e in Europa. Il suo articolo uscito nel 1905 nella rivista “Zeitschrift fur Ethnologie” contribuì alla rinomanza di Belmonte, che fu inserita, insieme con Novilara, tra i siti piceni di notevole importanza nel libro di Oscar Montelius “La civilisation primitive en Italie”. Non si può giurare  che i rapporti,  con musei e privati, fossero solo culturali. Si deve anche ritenere attendibile la notizia che nel 1903 Eduardo Brizio acquisti per il Museo Archeologico di Bologna collane, anelli, pendagli, fibule, provenienti dalla necropoli di Belmonte. Sembra che lo stesso Brizio nel 1901 aveva acquistato per il Museo di Bologna la grande stele di Belmonte, con l’iscrizione, per impedire che fosse venduta all’estero. Nel 1908/1909 una frana, evidenzia resti archeologici della “Tomba del Duce”. Gli scavi regolari, tra il 1909 e il 1911, diretti da Innocenzo Dall’Osso portano alla luce centinaia di tombe ricchissime di corredi; tra esse la “tomba del duce” e quelle delle “amazzoni”. Il “duce” sarebbe stato sepolto con sei bighe; una decina di altre tombe erano provviste di carri. I vecchi contadini del posto affermavano che, per trasferire dal sito degli scavi i reperti rinvenuti i loro genitori avevano messo a disposizione carri e buoi per vari giorni. I carri erano tirati con la “vetta” (altre coppie di buoi che aiutavano quelli attaccati direttamente al carro). A Bel monte non è difficile reperire la riproduzione di una foto che ricorda il trasporto. Le coppie di buoi usati per la “vetta” erano 4 o 5 e sono identificabili anche una decina di persone che spingono il carro. Non è facile calcolare il peso del carro. Tutto il materiale trovato  fu portato ad Ancona, ma sembra che “per varie vicissitudini” sia oggi in gran parte irreperibile, anche se ogni tanto vengono trovati alcuni scatoloni.

Montegiorgio

Del sito di Montegiorgio si è persa la memoria. Esiste un catalogo della mostra Slovena – Friulana “Piceni ed Europa”, a cura di: Mitja Guštin. Sembra che numerosi pezzi della collezione di G. B. Compagnoni Natali, furono venduti ai musei di Ancona, Bologna e Roma, dopo che li aveva acquistati dagli agricoltori dei dintorni o dopo che li aveva trovati da solo. I primi rinvenimenti archeologici, dovrebbero essere precedenti a quelli di Belmonte Piceno, esistendo il rendiconto del 1884, nel quale si scopre che una spada di bronzo (utilizzata da V. Bianco Peroni per la definizione del tipo “Montegiorgio” di una tipologia di spade della età del bronzo) è stata ceduta al Museo Preistorico di Roma; si ha notizia di altri trasferimenti. Nel 1903 il Dr. Otto Schott acquistò una notevole porzione della collezione archeologica di G. B. Compagnoni Natali e la regalò al Museo Preistorico della Università di Jena dove gli oggetti sono esposti.


Deportazione delle memorie

Wikipedia: La deportazione è il trasferimento coattivo di un individuo o un gruppo di individui poi obbligati a risiedere in un luogo diverso dal proprio dove vi vengono condotti con la forza.

Credo che si possa usare il termine deportare (nel senso etimologico: “portare da”) riferendolo a quanto reperibile in una tomba. Soprattutto tenendo conto che gli antichi Piceni usavano deporre nella loro terra, i loro morti coperti dalle loro cose più sacre, comprese bighe, armi, monili, vasi e altro. Portare i vari reperti lontano dal luogo del rinvenimento mi sembra un reato, oltre che una totale mancanza di rispetto per un popolo. Anche se non fosse “deportazione” in Germania, non sembra affatto bello e/o degno di apprezzamento, nascondere le memorie storiche nelle “catacombe” (magazzini dei musei) dei capoluoghi di regione dove anche 16 carri o bighe possono poi scomparire… Questo piccolo territorio del fermano ha fornito a tutta Europa (e non solo) le prove tangibili di una ricca, nobile e industriosa civiltà preromana. Non giudicate negativamente Baglioni e Compagnoni: hanno venduto gli oggetti in Germania, dove però sono stati amorevolmente conservati e protetti. Se invece fossero restati qui… dove oggi chi s’interessa di cultura apprezza e sponsorizza al massimo le feste medievali. Per costoro i Piceni derivano dal picchio… e sono felici!

Nazzareno Graziosi

28 dicembre 2018

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